Comune di Reggio Emilia

Mss. Turri F 92

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Tito Livio Frulovisi, De re publica libri tres, [1434-1436 ca.].
 
Il codice è l'unico testimone noto del trattato politico di Tito Livio Frulovisi De re publica, composto probabilmente nella prima metà degli anni '30 del XV secolo, e in ogni caso prima del 1436, quando l'umanista si trasferì in Inghilterra, continuando là la sua attività di prolifico autore "all'antica" di testi di tipologia assai differente: opere teoriche, versi, commedie. Frulovisi si era allontanato dalla sua città, Ferrara, ed aveva viaggiato per molte corti, inclusa quella aragonese di Napoli, per trovare una collocazione abbastanza stabile a Venezia, dove - con ogni probabilità, se ipotizziamo che il volume della Biblioteca Panizzi non sia stato realizzato molto tempo dopo la stesura definitiva dello scritto che contiene - venne copiato e decorato il presente manoscritto.
L'opera viene dedicata a Lionello d'Este: e data la raffinatezza del confezionamento del codice è pressoché certo si tratti proprio dell'esemplare di presentazione, forse offerto come tentativo di captatio benevolentiae, da parte del suo autore, in previsione di un rientro, in effetti poi mai avvenuto, nella sua città natale. A rafforzare una cronologia precoce può concorrere una serie di dati: innanzitutto, Lionello non viene mai definito dux di Ferrara, o identificato con un altro titolo tra quelli che assommerà in seguito, il che lascia presumere che non fosse ancora signore (ciò che avverrà nel 1441); poi, troviamo al lavoro nel codice due personalità ben note, entrambe veneziane, che sappiamo attive nella propria città natale appunto nei primi anni '30: Michele Salvatico, copista, e il miniatore Cristoforo Cortese. L'attività di Salvatico è stata ricostruita dalla De La Mare, che ha evidenziato la sua abilità nella littera antiqua, come si può vedere anche nel volume reggiano, a lui attribuito pur in mancanza di colophon, scritto in una grafia pulita ed elegante, di grande effetto anche nelle intitolazioni, che sono eseguite - indice di una particolare cura che ben si adatta a una copia di dedica - a inchiostri alternati rosso, blu e oro; anche le non poche sezioni testuali in greco, singoli lemmi o brevi frasi, sembrano della stessa mano (cfr. Negri Rosio 1977; Negri Rosio 1978; De La Mare-Griggio 1985, p. 353).
Cristoforo Cortese è uno dei più importanti miniatori veneti, attivo a Venezia tra la fine del '300 e gli anni '40 del '400, nel bel mezzo della temperie tardogotica; il suo catalogo, ancora in espansione grazie al rinvenimento di inediti, è assai ricco di opere, tra cui anche altri codici copiati dal Salvatico (gli attuali mss. A 21 della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna e 1379 della Österreichische Nationalbibliothek, in origine facenti parte di un unico volume), a lasciar intravvedere una collaborazione in qualche modo continuativa. Pur appartenente a una generazione precedente a quella pienamente rinascimentale, Cortese fu tra i primi sperimentatori della decorazione "a bianchi girari", che gli umanisti ritenevano fosse in qualche modo la vera facies, elegante e al contempo non interferente con la lettura, della decorazione libraria antica (sugli esempi a bianchi girari di Cortese, cfr. Miniatura a Padova 1999, pp. 227-228, Franco; alcuni studiosi tendono però a scorporare queste opere dal catalogo dell'artista: cfr. per esempio Ferretti 1985, p. 94). Nel caso della Panizzi, i girari sono recinti per campiture assai vivide e variate cromaticamente, secondo un'imagerie, tutto sommato, ancora gotica, che riesce a far convivere questa precisa scelta formale con l'idea, assai originale, di includervi (in tre casi) una scena narrata in un modo che potremmo definire per "contrazione iconografica", ma riconoscibile: un'incoronazione, di cui vediamo la testina e la mano che sta per imporre il serto laureo, ulteriore indizio - se ce ne fosse bisogno - della destinazione aulica di questa copia del testo del Frulovisi.