Comune di Reggio Emilia

Mss. Turri F 73

Scheda    Galleria

Leonello Chiericati, Dialogus et orationes quas traduxit, 1463.
 
L'elegantissimo codicetto può vantare legami diretti con uno dei grandi personaggi delle corti padane del XV secolo, quel Niccolò di Lionello d'Este che ebbe, come vedremo, notevole peso nella vita politica e culturale ferrarese. Leonello Chiericati, umanista di alta levatura nel panorama veneto, è infatti l'autore - oltre che delle traduzioni delle due orazioni attiche di Isocrate e Nicocle - di una lettera prefatoria, rivolta a Francesco Didio; in essa leggiamo prima una consolatio, motivata da un lutto recente, al destinatario, poi una sorta di consultazione, in cui chi scrive chiede al lettore se fosse il caso o meno di dedicare a Niccolò d'Este le proprie versioni latine degli scritti greci, che troviamo più avanti nel manoscritto; l'impressione è quella di un lusus, tipicamente umanistico, in cui la finzione vale come espediente retorico per evitare un approccio più diretto. E' in ogni caso pressoché certo che il volume sia stato effettiva copia di dedica; tra l'altro, Giuseppe Turri, l'erudito ottocentesco dalla cui raccolta il pezzo proviene, poteva vantare nella sua collezione un altro codice di presentazione legato all'ambito della corte ferrarese, il De re publica di Frulovisi, Mss. Turri F 92, destinato a Lionello d'Este.
E di Lionello, signore di Ferrara dal 1441 al 1450, Niccolò era il figlio. Alla morte del padre, il comando della famiglia e della città, essendo lui troppo giovane, venne preso dallo zio Borso. Negli anni che seguirono, fino alla fine del settimo decennio del secolo, Niccolò condusse una vita ritirata e attenta allo studio; della sua biblioteca rimangono una Rhetorica ad Herennium, ms. alfa P. 8.15 = Lat. 289 della Biblioteca Estense Universitaria di Modena e una copia del trattato di Michele Savonarola De vera republica, ms. alfa W. 6.6 = Lat. 114 della medesima sede, cui vanno però aggiunti alcuni pezzi testimoniati da inventari della corte (Aulo Gellio, Lattanzio, Giustino, una Vita di Sant'Antonio da Padova, Valerio Massimo, Seneca e Cicerone), e un codice liturgico privato ancora esistente ed identificabile con certezza, il libro d'ore ms. alfa G. 9.24 = Lat. 856, sempre a Modena. Dopo la morte di Borso e la salita al potere dell'altro zio Ercole, nel 1471, Niccolò tentò di riacquisire un ruolo politico rilevante, ma i suoi tentativi di arrivare al comando della città furono stroncati, e fu ucciso nel '78 (Tissoni Benvenuti 1991, pp. 75-76; Toniolo 1990-1991; Miniatura a Ferrara 1998, pp. 176-178, Toniolo).
La datazione topica e cronica "Padova, 1463" riportata dall'epistola, va dunque riferita non solo al testo, ma nello specifico alla copia reggiana, pur se - stricto sensu - ne manca la certezza assoluta: vale comunque come importante punto di riferimento, dal momento che anche lo stile della grafia e delle miniature si orienta su un contesto analogo. Per quanto riguarda la scrittura, siamo davanti infatti a una bella prova del noto copista Bartolomeo Sanvito, uno dei protagonisti dell'umanesimo padovano (Barile 1997, p. 163; De La Mare 1999, p. 498). Le iniziali decorate presenti nel volume, parallelamente, sono splendidi esempi di quella tipologia di lettera che si va elaborando, e poi diffondendo, in Veneto a cavallo tra il 1457 circa i primissimi anni '60 del '400, con ogni probabilità nell'entourage mantegnesco - senza per questo volere entrare nella vexata quaestio, ancora in fieri, sulle responsabilità dirette del pittore nel campo della decorazione libraria - e che appunto prende spesso il nome di "mantiniana" (che qui si mantiene, preferendolo ad altre determinazioni lessicali quali faceted initial o altro): il corpo dell'iniziale, esemplata a tutta evidenza sull'epigrafia classica, diviene tridimensionale, come derivato in negativo dal calco di un'iscrizione antica; la leggibilità è assicurata dal contrasto cromatico, evidente pur se molto raffinato, col fondo. I capostipiti di questa tendenza innovatrice (che avrà poi successo strepitoso) sono considerati il ms. Latin 17542 della Bibliothèque Nationale di Parigi e il ms. 77 della Bibliothèque Municipale di Albi, inviati da Jacopo Marcello a Renato d'Angiò, eseguiti in Veneto, tra la zona padovana e Venezia, e variamente attribuiti - come l'altro dono del nobile veneziano al sovrano: il ms. 940 della Bibliothèque de l'Arsenal di Parigi - a Mantegna, Zoppo, Lauro Padovano, Giovanni Bellini e relative botteghe e/o collaboratori - ma a parere di chi scrive la responsabilità maggiore nel progetto nella sua globalità l'ebbe probabilmente Jacopo Bellini (per un bel riassunto della questione, e la ricca bibliografia, cfr. da ultimo Miniatura a Padova 1999, pp. 241-243, De Niccolò Salmazo). Il volume della Biblioteca Panizzi pare una filiazione diretta e vicina cronologicamente a esempi come questo, nella sua semplicità elegante, tipico tratto dell'umanesimo padovano, che si riscontra anche, per quanto attiene ai compiti - pur essi 'decorativi' - del copista, nella grafia aulicissima e, nelle intestazioni, variata nel colore degli inchiostri: come confronto, anche dal punto di vista della tipologia testuale di codice umanistico di traduzione in copia di dedica, valga per esempio il ms. 531 della Biblioteca Universitaria di Pisa, scritto dallo stesso Sanvito (Miniatura a Padova 1999, pp. 252-253, De La Mare), o ancor meglio il ms. Vaticano Palatino Latino 1508, di mano del medesimo copista, databile verso lo stesso '63, e decorato, almeno nelle iniziali, in modo sovrapponibile al codice reggiano (De La Mare 1999, p. 498, con bibliografia; per riproduzioni fotografiche cfr. Bibliotheca Palatina 1986, II, tavv. 45-47). Il rimando al miniatore Giovanni Vendramin - che sappiamo attivo in Veneto e a Ferrara, in una carriera intensa, documentata dal 1466 al 1509 (cfr. Miniatura a Padova 1999, pp. 267-289, De Niccolò Salmazo, Bellinati, Mariani Canova, Benetazzo, con bibliografia) - da me operato in altra sede, senza certo arrivare a un riferimento diretto, vale ancora come indicazione generale del contesto in cui questo artista si formò (i debutti costituiscono comunque la sua fase più incerta).
La mano padovana che eseguì le iniziali di questo codice lavorò comunque ai tempi della data apposta in calce all'epistola dedicatoria, o - al limite - pochissimo tempo dopo.