missione impossibile

Il 21 dicembre 1666 il frate cappuccino Michelangelo Guattini, dopo aver salutato i famigliari e gli amici, parte da Reggio per un viaggio da cui non farà più ritorno. Pochi giorni prima aveva ricevuto da Roma la sospirata patente che lo dichiarava predicatore e missionario nelle Indie e l’ordine di recarsi nel regno del Congo per svolgervi un’opera di evangelizzazione, assieme al confratello Dionigi Carli di Piacenza.

Partiti da Genova il 3 aprile 1667, i due missionari giunsero in Africa nel gennaio 1668, dopo un viaggio durato quasi un anno. Per raggiungere le coste africane era infatti necessario percorrere il triangolo delle rotte commerciali delle navi che dal porto di Lisbona trasportavano merci in Brasile e che dal porto di Pernambuco facevano rotta verso l’Africa per la tratta degli schiavi.
Da Luanda i due missionari si recarono, tra innumerevoli stenti, traversie e pericoli, nella provincia di Mbamba, cui erano destinati. Qui fra Michelangelo si ammalò e, a causa delle febbri persistenti, perderà la vita dopo solo tre mesi. Anche fra Dionigi, contagiato dal suo compagno di missione, rimase gravemente infermo per oltre due anni, durante i quali passò dall’Africa al Brasile e infine in Spagna, per far ritorno al suo convento di Bologna nel gennaio del 1671.

In quello stesso anno fra Dionigi, su istanza di Giovanni Guattini, padre del suo sfortunato compagno di viaggio, pubblica a Reggio presso lo stampatore Prospero Vedrotti un resoconto della drammatica esperienza vissuta, utilizzando a questo scopo anche le lettere che fra Michelangelo aveva inviato ai familiari.

La pubblicazione riscosse un notevole successo e già l’anno successivo ne veniva stampata una seconda edizione più ampia, arricchita inoltre da un ritratto di fra Michelangelo incisa dal reggiano Bernardino Curti.

L’interesse per il diario di Guattini e Carli fu duraturo, tanto da essere ristampato fino ai giorni nostri. La sua importanza si deve al valore di straordinario documento: nelle sue pagine si trovano ampie e circostanziate descrizioni degli usi e dei costumi delle popolazioni africane che ci restituiscono in presa diretta preziose indicazioni sulla percezione che in Occidente si aveva allora dei “mori”. Ma certamente ha contribuito anche la curiosità per un’avventura umana vissuta in condizioni estreme, tra pericoli e rischi di ogni genere: le navigazioni funestate da tempeste, da scorrerie dei pirati e dalla mancanza di viveri; gli attacchi di leoni, leopardi, serpenti e elefanti; gli assalti notturni di formiche e topi; le disavventure tra i cannibali; le insidie di un clima avverso; le malattie spesso inesorabili, come la lebbra e la malaria.

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