Comune di Reggio Emilia

La xilografia dalle origini al settecento.

Approfondimento di Zeno Davoli
 

Nel corso dei secoli la fortuna dell'arte xilografica è stata quanto mai varia. Essendo la più antica tra le tecniche incisorie, all'origine era l'unico mezzo per riprodurre immagini; così nel fervore del primo Rinascimento è stata intensamente praticata, ha trovato grandissimi cultori ed ha conosciuto i capolavori del Dürer.
Poi ha subito la concorrenza dell'incisione su metallo, che nel giro di un secolo l'ha relegata al rango di parente povera delle altre tecniche. Questo ha mutato, ma non ridotto la sua importanza sociale, poiché, date le sue doti di rapidità d'esecuzione e di costi ridotti, ha continuato ad essere usata intensamente a livello popolare per i più svariati bisogni d'immagini della società.
D'altra parte i suoi legami originari con l'arte tipografica facevano di essa la tecnica più adatta alle illustrazioni dei libri e per questo ha conosciuto una produzione vastissima. Anche qui, a partire dal secondo Cinquecento, la ricerca di una maggior raffinatezza fece preferire le illustrazioni su metallo, che si rivelarono più opportune anche per la possibilità di una maggior precisione e ricchezza di particolari nelle stampe scientifiche e di riproduzione. Solo sul finire del Settecento l'invenzione della xilografia su legno di testa riportò quest'arte a grande importanza nella pratica tipografica e poi nel Novecento i nuovi stili e l'uso del linoleum iniziarono una nuova e grande stagione artistica. Tutto questo però rimane fuori dalla mostra presente.
Anche per effetto di queste contrastanti tensioni, la storia della xilografia è più varia di quanto non si creda.
Le sue origini in Occidente rimangono imprecisabili. Già in Egitto ai tempi dell'antica Roma pare documentata la pratica di decorare stoffe con matrici in legno ed è certo che la tecnica xilografica era usata in Cina nei primi secoli dell'era volgare.
Non è detto però che essa sia stata importata di là dai primi monaci o addirittura da Marco Polo, poiché potrebbe anche essere nata spontaneamente in concomitanza con l'introduzione in Europa della carta. Tecnicamente infatti è molto semplice: si tratta di tracciare un disegno su un'asse di legno e di togliere con un coltello le parti non disegnate, in modo che il disegno rimanga inciso in rilievo; poi non c'è che da sporcare la superficie incisa e da premerla su una carta.
Un'immagine su carta ha grandi pregi: costa poco, occupa poco spazio, può essere trasportata con grande facilità e quindi può superare qualsiasi distanza, può essere tenuta in tasca o usata in mille modi, poiché non è né fragile né rigida. Purtroppo deperisce rapidamente. Per questo i cimeli della produzione più antica sono rarissimi e del tutto insufficienti ad offrirci una documentazione adeguata sulle origini della xilografia, che certamente era già praticata nel Trecento.
Spesso si sono salvate non le stampe, ma le matrici e sono giunte a noi per le circostanze più singolari. Per la Madonna del Fuoco di Forlì, che è la più antica immagine italiana databile con certezza, ci è voluto un vero miracolo: è uscita infatti indenne da un incendio del 1428 (ed è quindi necessariamente anteriore a tale data).
Il fatto che vi siano maggiori ragioni che determinano la sopravvivenza di una matrice piuttosto che di una stampa è importante anche per aprirci un varco verso la conoscenza della produzione popolare profana, che deve essere stata quantitativamente grandissima, ma che è andata del tutto perduta. Per questo chi, come noi, vuole offrire anche una documentazione sulle stampe popolari, deve necessariamente usare fogli di tiratura moderna dai vecchi legni della Tipografia Soliani di Modena, che, uniti oggi a quelle della Tipografia Mucchi, costituiscono il corpus di matrici più grande che ci sia stato tramandato (e certo un unicum per l'Italia).
Dopo l'invenzione di Gutemberg la xilografia ha trovato un potente alleato per la sua sopravvivenze nel suo parente stretto, se così si può dire: il libro, che, essendo per sua natura fatto per durare, ha salvato anche le immagini che vi erano inserite. Non è quindi difficile trovare xilografie della fine del Quattrocento, ma si tratta sempre di tavole da libri.
Questo sforzo di documentazione non riguarda solo gli interessi della storia concreta dell'Occidente europeo, ma riguarda anche l'aspetto più propriamente artistico di questa tecnica, che agli inizi è stata una figlia minore del disegno ed ha dovuto fare i conti con l'arte della miniatura, ma dopo ha modificato il suo stile nel confronto con l'incisione su metallo.
La xilografia in realtà ha un linguaggio artistico proprio, e per questo ha avuto una nuova esplosione nel Novecento. Dato che i suoi tratti non possono essere molto fini né molto variati, deve necessariamente eliminare i particolari più minuti, deve essere più sintetica che descrittiva. Nelle mani di un artista questa necessità di sintesi produce figure di grande evidenza, scene piene di vita o addirittura di aggressività. E' il caso dell'Apocalisse del Dürer.
D'altra parte essa è legata al segno meno di quanto sembri. Se non riesce a realizzare i mezzi toni e le sfumature delicate e procede per contrasti netti di bianco e nero - cosa che può essere un limite, ma può anche essere un grande pregio - tuttavia, proprio per il modo del taglio, può variare il segno e passare dal tratto ad una forma dissimulata, può creare spigolosità, rotture e asprezze che da sole "fanno" l'opera d'arte, sono cioè un elemento fondamentale per rivelare la sensibilità con cui l'artista ha concepito l'immagine. Questo è evidente nel periodo d'oro della xilografia, tra il Quattro ed il Cinquecento; successivamente essa cercò di rispondere alla concorrenza dell'incisione a bulino chiedendo agli intagliatori di arrivare alla finezza del segno sul rame.
Persa questa partita, essa non ebbe più la capacità di attirare le energie migliori del mondo artistico e subì una grave involuzione. Così, dopo i primi decenni del Seicento, quest'arte non ebbe più dei grandi protagonisti ed anche tecnicamente si ridusse ad essere strumento facile, ma - come abbiamo detto - storicamente molto importante, di produzione popolare.
Dato che il termine popolare può essere usato con tanti significati ed essere fonte di equivoci, precisiamo che con esso intendiamo riferirci alla vita di ogni giorno di una comunità umana.
Per l'evoluzione della xilografia è stato molto importante anche un altro elemento: la ricerca del colore.
Forse non è proprio dire che si cercò di produrre immagini a colori a somiglianza dei quadri (visto che la ricerca artistica non approdò a questo), ma certo ci si chiese come arricchire, variare e completare mediante il colore il disegno riprodotto.
La ricerca fu condotta in parallelo anche dai tipografi, che trovarono il modo di stampare una pagina a più colori con una sola impressione, inserendo l'una nell'altra matrici diverse precedentemente inchiostrate.
La xilografia ricorse invece all'uso di impressioni successive di matrici diverse. Così nel Quattrocento tedesco iniziò la tecnica del camaïeu, che consisteva nell'arricchire il disegno di una matrice con una seconda matrice inchiostrata con un colore diverso, che creava uno sfondo per il primo e sulla quale erano state intagliate le "luci" della scena, cioè le parti che, non essendo inchiostrate, lasciavano apparire il bianco della carta e producevano il massimo di luminosità.
Il punto d'arrivo di questa ricerca fu la tecnica del chiaroscuro, di cui Ugo da Carpi si attribuì l'invenzione, che certo ne fu il massimo esponente. Nel chiaroscuro, ottenuto di regola con tre o quattro matrici, non esiste una tavola che dà i contorni delle figure e quindi riproduce da sola il disegno originario, ma questo è ottenuto dalla sovrapposizione delle matrici. L'artista infatti scompone l'immagine nelle sue gradazioni fondamentali di luce ed ombra e rende con la prima matrice le zone di massima oscurità e con l'ultima quelle di maggior luminosità, lasciando al solito in bianco le luci principali. In un chiaroscuro, quindi, quella che a noi può sembrare un'indicazione di contorno è solo la zona di massima oscurità, che di regola coincide coi contorni in ombra, mentre scompare in quelli in luce. L'artista poi non stampa le sue matrici con colori diversi, ma con tonalità diverse di colori molto affini.
Questa tecnica ha grandi conseguenze sul piano artistico, poiché lascia libertà all'artista nell'interpretazione del quadro originario e nella resa dei suoi effetti più propriamente pittorici.
Entrambe queste tecniche, sia il camaïeu che il chiaroscuro, furono riprese con effetti felici nel Settecento, sia a Venezia con Anton Maria Zanetti e Gio. Battista Jakson, sia in Francia ed Inghilterra con gli artisti che presentiamo. Il Settecento anzi, nel suo sforzo illuministico di trovare nuove vie in tutti i campi, scoprì anche il principio della tricromia, che fu sperimentata sia con l'incisione in legno che con quella in rame, ma con risultati insufficienti. Problemi tecnici fecero sì che essa trovasse la sua perfetta realizzazione solo nel secolo successivo.
Per il Settecento è molto meno precisata la vita della xilografia tradizionale in bianco e nero. Conosciamo ancora opere significative, ma è molto difficile conoscere nomi, individuare botteghe, ricostruire gli elementi oggettivi di tale produzione. Rimane dunque aperto il campo per un'interessante ricerca.
Bisogna anche precisare che in tutti i secoli emerge il problema di stabilire chi sia il vero autore di una xilografia. Infatti, mentre nell'incisione su metallo la figura dell'incisore prevale sempre su quella dell'autore del disegno riprodotto, nell'incisione in legno la situazione si rovescia e se l'intagliatore ha ricevuto dal pittore un disegno già predisposto per l'intaglio o se addirittura il pittore ha disegnato l'immagine direttamente sulla matrice in legno, gli effetti artistici che la stampa presenta sono da attribuirsi al pittore, non all'intagliatore e quindi è logico dire che l'autore della stampa è il pittore (che di solito è anche quello che mette la firma). Questo è importante, perché anche xilografi famosissimi come il Dürer o il Burgkmair hanno certo inciso personalmente, ma hanno anche dato disegni da intagliare a tecnici esperti, che spesso hanno lasciato il loro nome sul retro delle matrici.