L'artista tedesco si interessa da sempre alla storia nazionale del proprio paese e riflette su quanto rimane di non risolto nel suo drammatico passato.
Curiosando tra le fotografie di un archivio privato, quello del sig. Roberto Pavese, Bruno Locci identifica una serie di immagini che strappa alla sfera del privato ed inserisce in un proprio percorso narrativo. Il libro diventa dunque il luogo di un racconto immaginario, costruito a posteriori. Ci mostra uno spaccato di vita domestica piccolo borghese degli anni '50, quando le festine in casa tra amici servivano a dimenticare la guerra appena conclusa e tutte le difficoltà della ricostruzione oltre che il rumore del progresso e della rinascita. Queste persone, "pagliacci domestici" di un tempo che fu, colti nella loro anonima e banale quotidianità, nella loro grottesca e ridicola allegria, ci appaiono subito divertenti, appena dopo un po' squallidi e suscitano in noi un certo disagio, quando l'ironia lascia spazio alla malinconia del ricordo e poi al contrasto con la durezza della vita e della storia.
Come in tutto il suo percorso artistico, Christian Boltanski, anche in questo splendido libro, realizzato in occasione di una retrospettiva, che si tenne a Parigi nel 1998, approfondisce la sua riflessione sull'inaffidabilità e sulla contraddittorietà della memoria, ricorrendo a foto-ricordo estratte dal loro contesto, accostate ed impaginate col preciso intento di creare spaesamento, di generare la sensazione dell'assenza di quei volti, di quei corpi, di quegli oggetti che sono scomparsi per sempre. Il suo continuo bisogno di cercare, raccogliere e fissare ciò che è saturo di passato per tramandarne il ricordo, per raccontare storie, si rivolge ad oggetti e a volti per noi comuni, anonimi, che egli sceglie proprio per la loro magica capacità di evocazione nostalgica.
Il volume reca memoria e ripercorre le tappe di una mostra che l'artista allestì alla galleria L'Attico di Roma, in cui espose 73 ingrandimenti 70x100 di fotografie d'epoca con ritratti di pellirosse, ad eccezione di alcune scattate da Claudio Abbate, mimetizzate tra le altre, che vedono l'artista ritratto nei costumi degli indiani d'America. Il pavimento della galleria era coperto di sabbia e da due coni sghembi era possibile vedere immagini di terre colorate, omaggio alla cultura dei pellirosse.
Piccole fotografie in bianco e nero ritagliate e applicate sui fogli di un block notes, commentate da brevi frasi scritte a mano dall'artista. Fotografie così piccole da esigere una lettura molto ravvicinata che invita ad "entrare" per guardare, come dal buco di una serratura, attimi di vita privata e di affetti personali. Frasi così didascaliche e fredde da far pensare ad una partecipazione trattenuta.
Il libro d'artista è interamente illustrato con fotografie in bianco e nero di Luigi Ghirri. Giuliano Della Casa si avvale del fotografo per narrare un percorso quotidiano, quello che lo conduce a casa. Facile è il gioco di parole che l'autore evoca, la casa di Della casa, affidando il movimento alla sequenza metafisica delle semplici immagini di Ghirri.
Testi di Emilio Villa. Traduzione in napoletano di G. Desiato e C. Belloni. Reggio Emilia, Pari&Dispari, 1973, [1] p. cartonata ripiegata, con 15 fotografie a colori applicate, 15x15 cm. Edizione di 100 esemplari numerati. (Collezione Rosanna Chiessi, Reggio Emilia)
L’opera di Hamish Fulton, definito „walking artist“, è caratterizzata da due tratti essenziali. Dalla fine degli anni Sessanta Fulton compie ogni anno numerose marce a piedi il cui percorso viene preventivamente strutturato con attenzione. Durante queste camminate l’esperienza immateriale della natura e del proprio io sono al centro della sua ricerca artistica. Dalle singole marce nascono in un secondo momento degli oggetti artistici, foto-testi, libri d'artista, sculture di piccole dimensioni, pitture parietali o disegni strettamente legati all’esperienza del camminare. Per Fulton è sempre centrale il tema del cammino in solitaria dalla durata estenuante e la lunghezza spropositata. Attraverso migliaia di chilometri fatti a piedi, seguendo le arterie fluviali di Europa, Asia e America tra deserti e montagne, Fulton si annienta completamente, esaltando il valore purificatore di questo estremo contatto/impatto con la natura
E' il catalogo di una mostra di fotografie in cui l'artista ha lavorato sulla ricostruzione della memoria familiare, scegliendo di ritrarre i propri genitori, in particolare la madre, della quale ci restituisce poche scarne immagini, fortemente drammatiche, anche se depurate da coinvolgimeti emotivi. La frase che accompagna il libro è di Epicuro: " Di attesa in attesa consumiamo la nostra vita e moriamo tutti in travaglio"; la tensione tra la vita e la morte, dice il testo di Zaza, non è mai stato risolto nella storia dell'umanità, ogni ricerca di un archetipo umano ideale è fallito e non rimane che la soluzione del suicidio e dell'astinenza creativa.
Come molti altri esponenti della Land Art, Richard Long fa della passeggiata, della camminata, dell'osservazione della natura, il fulcro del proprio lavoro. Cammina per giorni e giorni in luoghi inesplorati e privi di presenze umane, entra in contatto armonico col paesaggio, lo modifica con la discrezione di chi sa che comunque la natura procederà secondo le proprie regole, lo fotografa, lo classifica, ne raccoglie le tracce proprio grazie alla fotografia, strumento "freddo" di registrazione che rimane, come per molte opere della land art, unica testimonianza del lavoro dell'artista, mappatura e diario di viaggio. Il libro diventa un luogo di sosta, dove potersi finalmente fermare a contemplare e meditare
Illustrato con diverse fotografie bianco e nero con cui l'artista, che per tre mesi sostituì una cameriera in un albergo di Venezia, ha documentato quotidianamente oggetti e situazioni lasciati nelle camere vuote dai turisti di passaggio. Come è noto l'artista, con questa opera, ha ispirato il personaggio di Maria del romanzo di Paul Auster, Leviathan, 1992.