la guerra delle pandore

Anno nuovo, lunario nuovo. Ma a Reggio il nuovo anno 1823 veniva salutato da ben cinque lunari nuovi, tutti con lo stesso titolo: La signora Pandora. La novità aveva un’origine curiosa: lo scontro tra due intellettuali divisi da tempo da un’aspra rivalità. A fronteggiarsi sono da un lato Giambattista Spallanzani, nipote del celebre scienziato, di professione medico, ma anche poeta; e dall’altro Luigi Cagnoli, letterato dall’animo inquieto e dal pessimo carattere, noto in città soprattutto per la rapidità con cui aveva voltato la gabbana di fervido giacobino in quella di devoto duchista, tanto da meritarsi la carica di censore ducale e la fama di spia. Era tanto inviso per la sua maldicenza che quando una prematura morte gli rapì il figlio Agostino, poeta già celebre nonostante la giovane età, non gli fu risparmiato il sarcasmo di un feroce epigramma: “Oh de’ Numi tiranni empio consiglio; il padre era da tôrre, non il figlio!”.
Le liti tra i due letterati a colpi di satire e canzonature (il Cagnoli andava dicendo nei caffè che lo Spallanzani era poeta quando trattava di medicina ed era medico quando scriveva di poesia), aveva persino costretto il Duca ad intervenire per cercare di calmare gli animi. Ma nessuno poteva immaginare che le ostilità salissero alla ribalta dei lunari.

È il Cagnoli a pubblicare per primo La signora Pandora. Lunario per l’anno 1823 dove, nel tradizionale “Discorso generale” in versi che introduce il calendario vero e proprio, predice i “giorni più felici” della nuova epoca inaugurata dal ritorno del Duca, dopo le “pazzie” del periodo napoleonico. Negli stessi giorni lo Spallanzani fa invece uscire Nel mille ed ottocento ventitre della Pandora il ragionar quest’è, dove condanna, secondo i canoni della tradizione moralistica, la condotta dei giovani (i “ganzi oziosi”), senza tuttavia trattenersi dal lanciare un primo attacco al lunario concorrente: “E se vi saran degli emuli, saran tanti babbioni”.
“Babbione a me?”: par di vedere il Cagnoli sobbalzare e correre in tipografia a far stampare La Signora Pandora. Lunario terzo per l’anno 1823, in cui esorta i reggiani a “mandare alla malora” quella “bastardaccia”, figlia dell’invidia, “che sempre gracchia al vento in vomitar strambotti / or contro de’ Villani, or contro i Zerbinotti”.
Ma lo Spallanzani contrattacca con bordate ancora più pesanti, aprendo La vera Pandora. Lunario secondo per l’anno 1823 con questi versi: “E fino a quando avrai tanta arroganza insana, / onde di me t’abusi, pettegola befana?”, per poi delineare il ritratto morale dell’avversario, figlio “di maldicenza, mostro della natura […] Dove tu sei si seccano gli alberi i prati i fonti […] Ovunque ti presenti, par che s’oscuri il giorno“. Per non tirare troppo la corda, annuncia tuttavia di non voler più continuare la polemica: “Poi latra se ti piace, più non avrai risposta”.
Non pone indugi il Cagnoli a rispondere per le rime con La veridica Pandora. Lunario quinto per l’anno 1823, dove si affollano epiteti come: falsaria, menzognera, sparuta mummia, carogna e dove viene tirato in ballo anche il tipografo del lunario avversario, quel Davolio che a suo tempo aveva suscitato in città l’ilarità generale, quando con un malaugurato refuso aveva mutato la sua consueta sottoscrizione “per il Davolio” nella più sulfurea “per il Diavolo”.

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