Uno degli episodi più celebri di riscrittura è quello relativo al Decameron di Boccaccio, "emendato" una prima volta nel 1573 dal monaco benedettino Vincenzo Borghini sulla base delle direttive romane, le quali imponevano che "per niun modo si parli in male o scandalo de' preti, frati, abati, abatesse, piovani, provosti, vescovi o altre cose sacre: ma si mutin li nomi e si faccia per altro modo che parrà meglio". L'edizione del Borghini venne sostituita nel 1582 da un'altra ben più pesantemente espurgata a cura di Lionardo Salviati che un contemporaneo definì "pubblico e notorio assassino" del Boccaccio.
Gli interventi del Salviati sono tali da stravolgere il senso del testo originale e a volte da renderlo persino incomprensibile, come nella decima novella della terza giornata, dove il Salviati tenta di giustificarsi con questa nota: "Si lasciano questi fragmenti per salvare più parole e più modi di favellare che si può".
Gli interventi del Salviati sono tali da stravolgere il senso del testo originale e a volte da renderlo persino incomprensibile, come nella decima novella della terza giornata, dove il Salviati tenta di giustificarsi con questa nota: "Si lasciano questi fragmenti per salvare più parole e più modi di favellare che si può".
Tra il 1525 e il 1557 furono pubblicate 34 edizioni del Decameron, ma, dopo quindici anni di silenzio, a partire dal 1573 si conosceranno solo edizioni espurgate, tra le quali non mancherà anche una contraffazione curata da Francesco Dionigi da Fano e intitolata, in analogia con il Petrarca spirituale, Il Decamerone spirituale.
Il domenicano bolognese Girolamo Giovannini, maestro di teologia e inquisitore a Vicenza, fu uno dei più attivi "espurgatori professionali". Il suo impegno censorio lo spinse a pubblicare versioni "purgate" di testi letterari di successo, dai quali sono stati espunti i riferimenti licenziosi e le frasi più o meno oscene, le espressioni che possano risultare poco rispettose per la Chiesa e il mondo religioso in tutti i loro aspetti e qualsiasi possibile accenno all'eresia e agli eretici. La Circe del Gelli, in cui sono raccolti dieci dialoghi sul tema della felicità fra Ulisse e i suoi compagni trasformati in animali dalla maga, è la prima opera espurgata dal Giovannini.
Nello stesso 1589 Giovannini si cimenta anche con un altro importante testo letterario contemporaneo, La Zucca del Doni, uscita in quell'anno dai torchi di Girolamo Polo e ristampata poi in quattro successive edizioni. Il testo originale subisce ben 350 interventi censori di varia dimensione e rilevanza e la soppressione del racconto "La Pittura della Riforma", molto probabilmente per la presenza di quel termine tanto compromettente in ambito religioso, anche se nel testo si parla solo della riforma della moda e dei costumi.
Nel 1539 Nicolò Franco, scrittore dotato di un'incontenibile vena polemica e satirica che l'avrebbe condotto sul patibolo, pubblicò a Venezia i Dialogi piacevoli. L'opera ebbe grande successo e fu continuamente ristampata sino al 1559. Messo ripetutamente all'Indice a partire dal 1559, il libro di Franco tornò in circolazione a fine secolo dopo essere stato diligentemente corretto dal Giovannini, il quale nella prefazione dichiara che le opere proibite sono da considerarsi "non più vive ma del tutto spente. Hora in tal condizione trovandosi questi Dialoghi e da me essendo ravivati, parmi di potere in loro havere gran parte et senza ammenda dirli quasi miei".
Il poema dell'Ariosto fece molto discutere i censori che insistettero a lungo sull'argomento della licenziosità morale. Roberto Bellarmino ad esempio suggerirà che il Furioso, letto e cantato ovunque "non sine magno detrimento", fosse inserito nell'Indice, come effettivamente avvenne alla fine del secolo in un indice portoghese. Il commissario generale del Sant'Uffizio romano Michele Ghislieri, in una lettera all'inquisitore di Genova del 1557, esprime invece l'opinione che "col prohibire Orlando, Orlandino, Cento Novelle et simili altri libri" ci si esporre al ridicolo "perché simili libri non si leggono come cose a qual si habbi a credere, ma come fabule".
In entrambi questi esemplari del Furioso sono state censurate le parti ritenute licenziose, come alcune ottave del quinto e del settimo canto.
Il Canzoniere del Petrarca è storicamente il primo caso di "rifacimento" di un'opera letteraria, espurgata e manipolata per renderla conforme alla morale o alla dottrina. Già nel 1536 infatti il frate minore Girolamo Malipiero pubblica una riscrittura dei sonetti e delle canzoni petrarcheschi sotto il titolo di Petrarcha spirituale, che avrebbe conosciuto ben otto ristampe fino al 1587. Malipiero, giudicando il poeta colpevole di aver mostrato "gli sconci e molto disordinati affetti e l'angosciose passioni de' miseri innamorati", trasforma l'amore terreno cantato dal Petrarca per la sua donna in amore tutto spirituale verso Dio e la Madonna.
Nel 1578 dal Sant'Uffizio si scriveva all'inquisitore di Siena di non permettere che si ristampassero le Satire di Ariosto "se non se ne levano alcuni versi brutti come sarebbe nel primo libro sat. V dove dice male de' preti e così altre cose nel discorso dell'opera, che se bene non sono heretiche pure sonano male et offendono l'orecchie delle persone pie con tanta licenza di parlare".
La Gerusalemme Conquistata è uno dei documenti letterari più significativi del clima culturale che viene ad instaurarsi nell'età della Controriforma. Il Tasso è indotto ad effettuare una completa riscrittura della Gerusalemme Liberata non solo da preoccupazioni estetiche, ma anche da scrupoli religiosi, gli stessi che lo avevano spinto ad autodenunciarsi al tribunale dell'Inquisizione di Bologna, con la speranza di ottenere certezze riguardo alla conformità del suo poema. Il poeta lavorò alla revisione della Liberata fra il 1582 e il 1593, espungendo numerose ottave per accentuarne l'intonazione eroica e per rivederne le allegorie in senso compiutamente cristiano ("percioché l'allegoria è anzi gentile che no; ed io ne vo ricavando alcuna più accomodata a la nostra religione").
Il modenese Ludovico Castelvetro (1505 - 1571), già sospettato di simpatie ereticali quale traduttore di opere di Melantone e di altri eretici, si sottrasse con la fuga al processo inquisitoriale e venne pertanto condannato come eretico e le sue opere proibite. Nel 1599 l'inquisitore di Modena veniva sollecitato a preparare una "censura perfetta di tutte le opere del Castelvetro", in vista di una ristampa dei suoi scritti di retorica da molti richiesta. Nell'esposizione delle Rime del Petrarca di Castelvetro, stampata a Basilea nel 1582, il censore modenese individua ben 117 passi da correggere "come cose discordanti dalla verità, o dalla bontà de' costumi".
Venegia, impressi per opera de Bernardino Stagnino, 1513
Venegia, impressi per opera de Bernardino Stagnino, 1513
Venegia, impressi per opera de Bernardino Stagnino, 1513
Venegia, impressi per opera de Bernardino Stagnino, 1513
Venegia, impressi per opera de Bernardino Stagnino, 1513
Venegia, impressi per opera de Bernardino Stagnino, 1513
Nel rifacimento di Malipiero il verso di apertura di uno dei celebri sonetti antiavignonesi L'avara Babilonia ha colmo il sacco diventa L'avaro, benchè colmo habbia già il sacco, mentre un altro sonetto contro la curia di Avignone viene trasformato in una sorprendente invettiva del Petrarca contro Lutero, circa un secolo prima che questi nascesse.