il segreto del labirinto

È un libro, quello del nobile veneziano Andrea Ghisi, che già al primo sguardo si presenta come insolito e misterioso: non ha testo, ma solo immagini. 1260 per la precisione, ordinate in 21 tavole contrassegnate dalle lettere dell’alfabeto. Il frontespizio, a cominciare dall’enigmatico titolo di Laberinto, non svela l’arcano, anzi l’infittisce dichiarando che quelle figure “sono tutte pronte al servitio con la sua obedienza et corrispondenza, che parlano l’una all’altra et con la terza volta infallibilmente si saprà la Figura immaginata”.

Gli studiosi, non riuscendo a scoprire lo schema logico su cui si fonda la struttura di questa strana opera, hanno proposto le interpretazioni più fantasiose: c’è chi, forse indotto dalla sua caratteristica di “libro muto”, vi ha sospettato un messaggio alchemico o esoterico, alla stregua di uno dei più celebri libri ermetici, il rarissimo Mutus liber; chi ha attribuito all’opera una valenza divinatoria, sulla base del rapporto che lega le sue figure ai Tarocchi del Mantegna; chi l’ha assimilata ad una variante orientale del gioco degli scacchi e chi infine ha giudicato la disposizione delle immagini come assolutamente casuale.

Il libro fu pubblicato a Venezia nel 1606 e successivamente nel 1616. L’esemplare posseduto dalla Biblioteca Panizzi di questa seconda edizione è interessante per due ragioni. In considerazione della sontuosa legatura, risulta essere con ogni probabilità l’esemplare offerto dall’autore al Doge Giovanni Bembo, al quale l’opera è dedicata. Ma ciò che lo rende davvero particolare è il fatto che conserva, incollato tra le prime pagine, un foglio di Dichiaratione che svela il segreto del labirinto e ne spiega il meccanismo.

Si scopre così che il libro è in realtà un sofisticato gioco di prestigio, basato su complessi calcoli matematici. Un libro “magico” che consente di leggere nel pensiero: chi conduce il gioco apre il libro alla prima pagina, dove le 60 figure sono disposte in 4 settori o “quartieri”, e chiede all’interlocutore di pensare una figura e di dichiarare solo il “quartiere” in cui si trova; la stessa operazione viene ripetuta una seconda volta, finchè alla terza il conduttore è in grado di indovinare, tra lo stupore e la meraviglia degli astanti, l’immagine pensata.

Un gioco di società, dunque, “nel qual potessero – come scrive l’autore nella dedica – i gentili spiriti stanchi trovar riposo anco nell’esercitio honesto”, ma un gioco costato nell’ideazione una “non picciola fatica”, perché a differenza degli altri giochi dove “gran parte ha la Sorte, et poca l’Ingegno”, qui invece “tutto viene dall’Ingegno”.

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