E' un lavoro sull'immagine di taglio politico e ideologico quello sviluppato da Defilippi tra gli anni '60 e '70 nel suo ciclo su Lenin: le opere assumono inizialmente un carattere celebrativo riprendendo i momenti pubblici dello statista, mentre in un secondo momento lo presentano nell'intimità familiare. Nel 1974 l'artista arriva a sperimentare la formula dell'autoidentificazione, trasformando il proprio viso fino alla quasi completa somiglianza con quello di Lenin. Questa operazione di sostituzione viene fissata grazie ad una serie di fotogrammi che documentano il progressivo processo di trasformazione di un'immagine nell'altra attraverso un gioco sottile di appropriazione di un'icona ideologicamente significativa.
Da un incontro a Londra nel 1967, nasce il sodalizio Gilbert&George, due artisti che fin da subito scelgono di intervenire nelle loro opere come attori, con la propria partecipazione fisica, essendo l'arte il fine della vita: "Essere sculture viventi è il nostro sangue vitale, il nostro destino, la nostra storia, il nostro disastro, la nostra luce e vita". Obiettivo principale del loro lavoro è produrre un'arte "democratica" e comunicativa, chiara e leggibile, un'arte che sia per tutti, anche grazie all'utilizzo dei più diffusi linguaggi della comunicazione, dalla performance al video, alla fotografia, al disegno e al libro d'artista, come questo piccolo flip book del 1971, anno in cui gli artisti introducono l'uso della fotografia bianco e nero negli assemblage.
Nel frontespizio l'autore inserisce questa introduzione al libro: "Il mio lavoro di 'trasformismo' inizia nel 1972 con il raffronto diretto tra la fotografia della mia immagine e quella deglia artisti da me scelti". Questa operazione è introdotta dal titolo della prima sezione del libro: "Tentativo di arricchire la personalità di Ciam" ed è approndita da altre coi titoli "Sulla pelle" (in cui l'artista mette fisicamente a mo' di maschera la pelle di un altro trasformandosi in esso), oppure "La vita di Ricasso sulla mia pelle", il cui lavoro di trasformazione avviene a livello di manipolazione fotografica.
Penone propone una dettagliata e sistematica lettura fotografica del proprio corpo. La riflessione, che verte come in molti suoi lavori, sul rapporto tra l'individuo vivente e l'ambiente esterno che lo circonda e lo accoglie, individua nell'epidermide umana, la superficie corporale dell'io, che diventa linea di confine tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, ma è anche trait d'union che, grazie ai suoi organi sensori, mette in reciproco dialogo il corpo e l'ambiente.
Dal 1958 Nitsch si esprime all'interno delle correnti body art in azioni altamente violente che prevedono sgozzamenti di animali, spargimenti di sangue, crocifissioni. Creò il Teatro delle Orge e dei Misteri, dove si svolgono performances rituali di tipo satanico-orgiastico, che durano anche diversi giorni, accompagnate da musiche "d'atmosfera" che servono a coinvolgere il pubblico. Questa pubblicazione è un'introduzione al lavoro di Nitsch, include manifesti programmatici, dichiarazioni teoriche, documentazioni fotografiche di performances, che vengono presentati qui per la prima volta. Il libro diventa il mezzo attraverso il quale l'artista promuove e diffonde il proprio lavoro, diventando esso stesso parte integrante della sua opera.
"Acervus", che letteralmente significa mucchio, accumulo (qui inteso nel senso di "orgia", essendo forte il riferimento delle immagini alla sessualità), è il titolo di questo piccolo libro che accoglie alcuni dei famosi "tableaux vivants" con cui Luigi Ontani, a partire dal 1972, gioca ironicamente e narcisisticamente su se stesso, sulla propria immagine, trasformandosi ogni volta in un personaggio diverso, mutuato ora dalla cultura aulica ora da quella popolare e traendo i suoi modelli dagli dei dell'Olimpo come dalle maschere popolari, dalle icone pittoriche o letterarie come da quelle della religiosità popolare. Le fotografie, stampate su carta patinata rosa sono di autori diversi.
In questi tre libretti sono raccolti 96 ritratti (32 per ogni volume), realizzati a partire dal 1968, in cui Hamilton si fa fotografare, dai più importanti artisti contemporanei, vestendo i loro panni. Man mano che li incontra, chiede loro appunto di scattare la foto polaroid, in un gioco che ricorda l'antico artificio dell'autoritratto dell'artista mascherato tra i personaggi dei quadri o nei panni di altri da sé, come in certi dipinti di Rembrandt. All'inizio chiede che una delle opere dell'artista-fotografo figuri in secondo piano, a mo' di firma, poi finirà per considerare che il modo stesso di inquadrare e di fotografare è sufficientemente significativo. Si tratta dunque di un gioco speculare in cui l'artista di turno ritrae Hamilton con i propri panni, ma lo fotografa in modo da farne un'opera che porta la propria firma e il proprio stile. Diventa dunque difficile definire chi ne sia realmente l'autore. Contrassegnati cronologicamente, i ritratti evocano anche il passare del tempo attraverso i differenti incontri che segnano la vita dell'artista e l'arricchimento del suo patrimonio di esperienze e di ricordi.
L'artista dal 1965 fotografa il proprio volto al termine di ogni giornata di lavoro, e ogni scatto è leggermente più sovraesposto di quello precedente. Secondo questa modalità di rappresentazione del proprio volto, vuole sottolineare la simbiosi col lento processo di invecchiamento dell'individuo, fino alla scomparsa dell'immagine e dell'individuo stesso. Questo progetto, tendenzialmente infinito, è una riflessione filosofica sull'infinito (oo), sulla morte, sulla memoria autobiografica e sulle tracce uniche e irripetibili che ognuno di noi lascia di sé, e che l'artista sente il bisogno di documentare con ripetitività ossessiva. Ogni ritratto corrisponde a una registrazione fonetica, sul disco che è allegato al volume.