il mondo è una gabbia di matti

“Gabbia de’ matti è il mondo”: così recita uno dei più celebri aforismi di Tommaso Campanella, che di gabbie e di matti era diventato esperto suo malgrado, avendo dovuto trascorrere quasi trent’anni della sua vita in carcere per le condanne di eresia ed essendo stato costretto a fingersi pazzo, appunto, per sfuggire al rogo. La massima del filosofo calabrese richiama un tema della cultura popolare che affonda le sue radici in epoche remotissime e che, proprio a partire dal Cinquecento, alimenta una tradizione iconografica che conosce una vasta diffusione in tutta Europa.

Fin dal secolo XVI infatti fiorisce in modo rigoglioso una produzione artigianale di stampe popolari a carattere sia sacro che profano, il cui largo consumo è destinato a durare per ben quattro secoli. Uno dei temi che più incontrano il favore popolare è quello delle rappresentazioni satirico-burlesche dei vizi e delle follie degli uomini che trova espressione in immagini dai titoli curiosi e accattivanti, come ad esempio Il mondo alla rovescia, L’arboro della pazzia, Descritione del gran paese de Cuccagna, Così va il mondo.

Un’interessante e rara testimonianza di questa produzione è conservata nella Raccolta Venturi del Gabinetto delle Stampe “A. Davoli” della Biblioteca Panizzi. Si tratta di un’incisione a bulino del Seicento che ha per titolo: Questo mondo è come una gabbia de matti imperochè ciascuno, chi per una via e chi per un’altra dimostra la sua pazzia, opera di un artista rimasto anonimo che si firma con la sola sigla ”SB”. La scena rappresenta al centro i pazzi mentre salgono la scala che porta alla gabbia del mondo, con la didascalia: “O quanti sciocchi ne la gabbia vanno”, mentre su cinque linee parallele sono disposte numerose scene, commentate da alcuni versi, che raffigurano azioni folli o malvage compiute dagli uomini.

La stampa sembra fare coppia con un’altra dello stesso tema e forse della stessa mano, intitolata Le bararie del mondo. Entrambe sono copie in controparte di originali del Cinquecento e sono in cattivo stato di conservazione per essere state in passato incorniciate e esposte per lungo tempo.

O quanti sciocchi ne la gabbia vanno
La gola ogni virtù da sé ha sbandita
Va il mondo ogni hor di mal in peggio / Essendo da fanciulli governato
Tal star de l’occhio la busca crede / Ch’el trave poi negli occhi suoi non vede
Vedete quel ch’avien per le putane
La giustizia sopra l’ignoranza che sempre hebbe di lei maggior possanza / La Forza vince e caca adosso alla ragione
D’altra cura non ho se non dell’oro / e questo è lo mio Dio che sol honoro
Mi lambico il cervello tutto lieto
Tien la fortuna mentre che tu l’hai Che se te esce di man mai più l’haverai 
Quel huomo il qual si lascia uscir di mano La sorte quando l’ha, la segue invano
Chi gioca a carte o dadi il tempo perde / molte volte a tacar questione viene / e spesso resta de’ denari al verde
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