…enormi delitti

Suscitarono molto scalpore i feroci crimini commessi a Modena da Domenico Antonio Poggioli, a giudicare dal numero degli “avvisi” stampati tra il 1769 e il 1770 sulle sue gesta criminose, tra cui anche un’Historia novissima sopra la vita, fatti e morte di Domenico Antonio Poggioli pubblicata a Bologna in ottava rima, probabilmente per essere recitata dai cantastorie nelle fiere e nei mercati.

Uno di questi “avvisi”, oggi rarissimo, fu stampato a Reggio da Giuseppe Davolio nel 1769 e costituisce un tipico esempio di come, prima della nascita dei giornali, fosse organizzata la diffusione delle notizie destinate a suscitare l’interesse e la curiosità di un pubblico popolare.
Nella parte inferiore del foglio è riportata la Narrazione degli enormi delitti commessi da Domenico Antonio Poggioli come appare dal di lui processo, dove appunto si racconta come il ventinovenne Poggioli, nativo di Spilamberto, ma residente a Modena dall’età di 15 anni, il 2 luglio 1766 uccidesse a scopo di rapina i due gestori, marito e moglie, dell’Osteria dei Tre Re; come, il 14 dicembre dello stesso anno, commettesse altri tre omicidi e come infine, dopo un altro tentato omicidio, fortunatamente andato a vuoto, fosse scoperto, processato e condannato a morte.

Ma ad attirare maggiormente l’attenzione del pubblico sarà stata sicuramente l’immagine, opera dell’incisore reggiano Carlo Manfredi, che campeggia nella parte superiore dell'”avviso” e che illustra la scena del terribile supplizio del condannato. Il 22 dicembre 1768 il Poggioli fu infatti caricato su un carro e condotto, “mezzo ignudo, assistito sempre da due Religiosi e seguito da una parte della Compagnia della Morte”, davanti all’Osteria dei Tre Re, teatro del primo omicidio, dove ricevette “due colpi di tenaglia infocata”, mentre altri tre colpi gli furono inferti davanti alla casa dove avvenne l’altro triplice omicidio. Salito sul patibolo, dopo aver ricevuto l’assoluzione, fu bendato e, nello stesso momento in cui il carnefice lo colpiva alla testa con una mazza, gli veniva tagliata la mano destra. Poi il corpo fu fatto a pezzi e “il tutto con pece riposto in due sacchi fu consegnato alle fiamme durante lo spazio di ore 5 sulla graticola” e le ceneri gettate nel fiume più vicino.

Quanto più atroce ed efferato lo “spettacolo” della esecuzione pubblica, tanto più efficace doveva risultare allora il suo significato di monito e di prevenzione. Erano passati solo quattro anni dalla pubblicazione del Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria e il dibattito sull’abolizione della tortura e della pena di morte nel Ducato Estense era appena agli inizi.

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