Comune di Reggio Emilia

Corali 17.A.153

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Innario per totum annum, 1449-1782, con aggiunte e rifacimenti del sec. XVIII.
 
La divisione operativa tra le diverse professionalità che danno vita al prodotto finale "codice miniato" dal basso medioevo in poi è ormai abbondantemente studiata: copista, calligrafo, miniatore; ma alcuni casi specifici meritano una particolare considerazione, o in virtù della qualità stilistica che palesano, o in quanto esempi significativi di contingenze storiche o culturali di grande momento. Può rientrare in quest'ultima categoria - se la vogliamo applicare al contesto della circolazione di artefici lombardi in zona emiliana nel periodo di trapasso tra gotico e rinascimento - il caso di Guiniforte da Vimercate, da gran tempo ben noto alle bibliografie: già a cavallo tra XIX e XX secolo era stata segnalata la connotazione lombarda delle miniature di almeno due tra i volumi olivetani delle serie liturgiche conservate a Ferrara a Palazzo Schifanoia, collegandola senza dubbi a tre firme del personaggio che abbiamo appena citato, ben evidenti sui manoscritti. A ben guardare, però, già questa prima testimonianza doveva suscitare qualche sospetto, dal momento che entrambe le sottoscrizioni, dal testo analogo ma non identico, compaiono non entro le scene miniate, o i bordi a pennello, o in loro prossimità, bensì inserite in bei capilettera a inchiostro di raffinata fattura da calligrafo; per il graduale N, alla c. Iv in una A, "Guinifortus de Vicomerchato mediolanensis hoc opus miniavit anno domini 1449 die primo decembris"; per il graduale L, alla c. 29v in una I, "Guinifortus de Mediolano 1449", e in un fregio a penna che prosegue una A "Ego enim sum minimus omnium miniatorum Guinifortus de Vicomerchato mediolanensis 1449 aug[usti]". A questi due pezzi, per così dire, ormai storicizzati si è potuta poi aggiungere un'altra coppia, già da tempo resa nota - peraltro - ma spesso sottaciuta dalla bibliografia. Il primo esempio è appunto questo della c. 1r del corale 17.A.153 della Biblioteca Panizzi, proveniente dal locale convento della Beata Vergine della Ghiara ma eseguito, ab antiquo, per un'entità francescana: nella I a inchiostro, la scritta recita stavolta "Guini[forti de Vico]mercato hoc opus [est] anno domini MCCCCXLVIIII [...] minimus [...]". Si termina infine con il "Guinifortis de Vicomerchato mediolanensis 1449" che troviamo, in una splendida L ancora una volta "de penna", alla c. 18v del corale 547 del Museo Civico Medievale di Bologna (Lollini 1989, pp. 28, 34 n. 63, 66 n. 35, con bibliografia; Lollini 1994, pp. 117-118, 135 n. 25).
Come ho già avuto modo di scrivere, è per lo meno un po' incongruo che si perpetui ancora per Guiniforte la definizione di miniatore in senso moderno, mentre mi pare decisamente logico che un artista "de pennello" non si sarebbe mai sottoscritto, e con tanta frequenza, in una parte accessoria della decorazione (e se "minimus", cioè, "il meno importante", non si fosse una vera o retorica dichiarazione generale di autodisistima di Guiniforte, ma si riferisse proprio al suo ruolo nella bottega?); tra l'altro, proprio di recente è stato reso noto agli studiosi un interessantissimo codice appartenente alla Lilly Library dell'Indiana University di Bloomington, il ms. Ricketts 240, un opuscolo di 19 carte tutte occupate da motivi calligrafici a inchiostro, che costituiva certo il repertorio, o uno dei repertori, del nostro decoratore (cui si devono però solo alcune pagine del manoscritto statunitense); anche qui, Guiniforte si sottoscrive alla c. 13r "Guinifortus de Vicomerchato mediolanensis fecit hoc opus 1450 die primo aug[usti]" (Painted page 1994, p. 213). "Miniator", per Guiniforte, vale ancora nel suo senso etimologico di "distributore di minio", evidenziatore a penna e inchiostro colorato di lettere incipitarie, o più raramente di interi bordi, in cui entrano anche raffinati contrasti cromatici sfumati in giallino e verde chiaro, con un repertorio improntato, sembra, a motivi derivati dal mondo gotico (e non penso solo alla decorazione libraria ma anche all'oreficeria, alla scultura e alla decorazione architettonica); che poi si potesse dedicare anche a lavori di pennello, non è possibile escluderlo a priori, come in modo un po' troppo drastico ho scritto altrove, ma neppure affermarlo sulla base del benché minimo dato certo. Il problema che si pone per noi, allora, è un altro, e duplice: accettare ai nostri tempi un'operosità così frenetica, che nel medesimo anno lo conduce in tre diverse città - pur vicine; e chiarire se al suo traino, o a quello di artigiani come lui, potessero pervenire dalla medesima area geografica maestranze specializzate in figurazioni miniate "de pennello". Il fraintendimento relativo a Guiniforte, se pur con ogni probabilità (almeno a mio parere) errato per le ragioni appena esposte, trova una sua pur parziale giustificazione nella constatazione che i pezzi appartenenti alle presunte serie di Reggio Emilia, Bologna e Ferrara presentano miniature in cui è evidente la componente stilistica lombarda, non sappiamo se diretta o derivata, ed è presente un'identità - o almeno un vicinanza - di mani. L'assunto di partenza è dunque questo: posto che la responsabilità del vimercatese credo vada limitata all'esecuzione delle splendide iniziali filigranate, le scene a pennello presenti sui volumi che esamineremo sembrano opera, più che di un solo autore, di un'équipe, a lui legata: condividevano con Guiniforte, oltre che il lavoro, anche l'origine? o l'itinerarietà? si potrebbe pensare invece a decoratori emiliani recuperati sul campo: già anni fa, riferivo per esempio, senza approfondire troppo il discorso e non collegandola agli altri volumi della 'questione Guiniforte' (di cui pure parlavo e molto parzialmente pubblicavo), a "Miniatore bolognese (?) attorno il 1450" un'immagine del corale 547 di Bologna, dello stesso autore del volume della Panizzi (Lollini 1989, fig. a p. 30). 
Partendo da Reggio Emilia, tra i corali conservati alla Biblioteca Panizzi, l'unico che possa rientrare nel discorso del tardogotico lombardo degli anni tra '40 e '50 del secolo XV è appunto questo Corali 17.A.153 firmato da Guiniforte. Le sue sette iniziali figurate (due pressoché illeggibili per perdite di colore apparentemente dovute più a sbavature del pigmento che non a lesioni meccaniche) ci mostrano infatti una tangenza col contesto lombardo coevo, con parziali accostamenti al 'Maestro delle Vitae Imperatorum', avvertibile in alcune tipologie fisionomiche e nell'impaginazione delle scene; certo, il livello qualitativo non appare trascinante, ma sempre indice di una temperie figurativa che pur si poneva come modelli prototipi di alto valore. Una certa differenza esecutiva potrebbe forse indurre a un riferimento per le iniziali a due maestri distinti, ma talmente affini che è comunque meglio non indugiare troppo su varianti stilistiche minime e rifugiarsi nella dizione di bottega. E' evidente che il ciclo eseguito da Guiniforte e dai suoi colleghi "de pennello" non poteva consistere in un unico pezzo, e si potrebbe anche pensare ad un arrivo successivo del volume in area reggiana, nella già citata destinazione francescana: soprattutto se si nota che il frate che compare assieme al Dio Padre benedicente di c. 34r sembra appunto appartenente a questo ordine; da notare poi nei fregi l'impiego di un repertorio tipicamente emiliano, del genere protoprospettico che venne con costanza impiegato negli anni '40 e primi '50 del XV secolo: girali vegetali compatti, cerchietti dorati, infiorescenze tonde sfrangiate in bianco rosso e verde, e soprattutto una sorta di pigna puntuta a cono, che con estrema chiarezza parla a favore di un'esecuzione nell'area a sud del Po, e non - come al limite si potrebbe pure pensare - all'invio in loco di manufatti prodotti in Lombardia; miniatori lombardi, allora, o piuttosto lombardeggianti?
Scendendo la via Emilia in direzione sud, secondo cioè il percorso che si può immaginare più logico per una bottega itinerante di origine lombarda, troviamo poi il cosiddetto ciclo dei corali 547-553 del Museo Civico Medievale di Bologna. Non so fino a che punto si possa pensare a un'origine comune di questa serie - quasi sempre considerata come un tutto unico dai pochi interventi a stampa che le sono stati dedicati - dalla provenienza sconosciuta: come già ho avuto modo di notare, la connotazione olivetana che viene in genere attribuita al gruppo è palese solo nel 552 (Lollini 1989, p. 35 n. 66), che si distacca dagli altri, oltre che dal punto di vista stilistico, sia come grafia del testo, sia come impostazione del programma decorativo e della mise-en-page delle carte; gli altri sono invece tra loro più omogenei, e presentano spesso iconografie a tutta evidenza francescane: tanto che, ad esempio, nell'iniziale con Santi della c. 115v del 550 il posto d'onore viene dato appunto a San Francesco, fulcro visivo dell'immagine. Possiamo abbandonare subito in tutta tranquillità la speranza di alcuni vecchi commentatori di avere di fronte una serie compatta, e magari un unico miniatore; il percorso stilistico dei sette volumi  (che si riassume qui solo per i pezzi connessi in modo diretto a Guiniforte, e quindi a questo Corali 17.A.153 della Panizzi) appare infatti del tutto disomogeneo. Il 547, quello che già si è rammentato per la firma del vimercatese, palesa nelle nove iniziali figurate - con qualche oscillazione che è possibile far rientrare nel metodo lavorativo di una bottega - la medesima mano del Corali 17.A.153 reggiano (Lollini 1989, fig. a p. 30): le tipologie dei volti sono identiche, e identico è il modo di condurre il panneggio, avvolgente ma col ductus ben spesso. Tra l'altro, le poche scene su cui si può esprimere un piccolo dubbio di autografia rispetto alla mano più spesso presente hanno gli stessi identici caratteri delle immagini eventualmente sottraibili all'artista principale nel corale della Panizzi, palesando quindi una situazione del tutto omogenea e spiegabile, appunto, con una compresenza di più artisti del tutto affini in una stessa bottega; il repertorio dei fregi è anch'esso quasi sovrapponibile. Nel 548 la situazione non muta: e le minime alterità che si notano all'interno delle cinque parti figurate possono ancora essere fatte comodamente rientrare in un'unica équipe, che qui tenta (riuscendoci poco) anche qualche soluzione più affine alla corrente distesamente cortese della miniatura tardogotica lombarda (nella Madonna col Bambino, a c. 169v, appaiono in questo senso assai indicative le definizioni a monocromo dorato su fondo nero dei fiori e delle piante sullo sfondo). Nel 549 questa linea formale è presente solo in poche iniziali, da riferire ancora alle stesse mani dei due volumi precedenti, e quindi anche a quella (o a quelle) di questo Corali 17.A.153; lo stesso avviene nell'unico caso di c. 78v per il 550. Si stagliano comunque nei primi tre tomi (non nel 550) gli splendidi capilettera di Guiniforte, che alla dominante rossa e blu aggiungono tratteggi e campiture in giallino e verde, e si dipanano sempre finissimi.
I restanti volumi della serie compartecipano di una temperie tardogotica influenzata dalla Lombardia, ma non mi pare vi si possano rintracciare sezioni figurate della mano (o della bottega) che sinora abbiamo incontrato; lascio comunque ad altra sede un loro esame.
In conclusione, completiamo l'itinerario con l'ultimo piccolo gruppo riferito allo pseudo-Guiniforte per le firme riportate dalle iniziali a inchiostro: i due volumi ferraresi. Olivetani, come il solo 552 del museo bolognese (dove non si ritrova peraltro né Guiniforte come calligrafo né il suo, o meglio i suoi, colleghi "de pennello" del reggiano Corali 17.A.153 e dei mss. 547-550 nella stessa sede), i pezzi segnati L e N appartengono anch'essi ad una situazione stilistica del tutto simile ai volumi citati della serie felsinea e al corale della Panizzi, e fanno parte di un intero ciclo, questo sì chiaramente connotato, al di là della provenienza, come commissionato da quest'ordine (Hermann 1994, p. 74 n. 37, nota di F. Toniolo che, per evidente lapsus, mi attribuisce un dubbio sulla caratterizzazione olivetana della serie che invece non ho mai espresso: la mia perplessità era semmai relativa alla giustezza del tradizionale riferimento a una committenza Roverella); vi troviamo anche Giovanni d'Antonio, il miglior miniatore bolognese del periodo (Medica 1987, pp. 187-188), a convalidare la possibilità che i compagni di Guiniforte possano anche essere non lombardi, ma emiliani lombardeggianti. Il frontespizio del primo codice non è con certezza riferibile direttamente a quello che potremmo chiamare 'Maestro dei corali 547-550 di Bologna', né nella sua scena principale, né nel bas-de-page, né nell'Annunciazione del margine superiore che, esemplata su modelli del 'Maestro delle Vitae' e ricordi micheliniani, appare di una buona qualità formale che purtroppo non si ritrova certo nel resto della decorazione, a testimoniare l'importanza di quei prototipi grafici rifruibili che tanto potevano servire a un decoratore modesto per innalzare la sua caratura; per questo distinguo forse mi si potrà accusare di eccessiva capziosità: e in effetti tutto può forse tranquillamente rientrare entro i confini di una stessa autografia, qui più sorvegliata (o magari più aiutata da modelli), o al limite in un discorso di collaborazione tra membri di una stessa entità produttiva. Le altre scene dello stesso volume vanno ancor meglio insieme col volume di Reggio, e conseguentemente pure al gruppo dei corali bolognesi (si veda per esempio la Presentazione al tempio, c. 13v del volume N): l'identità di mano è allora qui certa. Nell'altro codice mi paiono essere attive più mani, o almeno l'oscillazione - anche qualitativa - è più forte, e non so se possa rientrare entro una medesima responsabilità diretta.
E' possibile che l'esemplare della Panizzi possa provenire da una serie più numerosa, magari eseguita a Bologna o comunque non a Reggio (la stessa di almeno i primi tre volumi del Medievale?). Siano tre, allora, o due, i cicli in cui operò il calligrafo Guiniforte da Vimercate, assieme ai suoi colleghi di pennello: rimangono comunque esempio della circolazione di artisti e artigiani tra l'Emilia e la Lombardia in un periodo cruciale di trapasso stilistico; esempio non banale, e anzi interessante per ricostruire un contesto che, se trova le sue punte nelle trasferte di Belbello da Pavia all'inizio degli anni '30 drl secolo XV e del 'Maestro del Breviario Francescano' in modo credo continuativo dai primi anni '50 sino almeno al 1458-1460, doveva essere costituito da una trama assai più complessa e fitta, non legata di necessità al grande nome chiamato a sé dal committente aulico, come nei due casi appena citati, quanto al tessuto di una costante presenza di interrelazioni, come dimostrano anche altri cicli in cui si trovano, da una parte, esempi di miniatori emiliani, magari già aggiornati in chiave rinascimentale o sulla strada di farlo, e di miniatori lombardi affiancati tra loro, o dall'altra, situazioni sfumate di meticciamento stilistico in uno stesso artista. E' il caso della fin troppo nota serie bessarionea, o del ciclo di Carpi reso di recente noto dalla Zanichelli, che mi sembrano certo legati a livello repertoriale (con quello carpigiano come derivazione) nelle sezioni non figurate; mentre faccio più fatica a scorgere le vicinanze delle scene figurate del secondo con i due maestri bessarionei - quelli dei volumi 2 e 5 - che esamina la studiosa ora citata (Zanichelli 2000, p. 28).