Sembra chiaro il riferimento dell'opera alle antiche Wunderkammer , le camere delle meraviglie dove trovavano luogo tutti i tesori della natura e dell'arte, gli uni accanto agli altri, raccolti e catalogati con l'ambizione di ricreare nel microcosmo del museo l'infinita varietà di capolavori o di stranezze che la natura e l'arte possono generare. Parmiggiani nelle sue istruzioni per l'uso cita una frase di Nietzsche: "La cosa più facile è anche la più difficile; vedere coi propri occhi quello che sta sotto il proprio naso". Le immagini diventano dunque un nuovo "alfabeto" che può essere decodificato solo da chi con gli occhi impara a guardare oltre se stesso.
Il libro è composto da 30 fotografie bianco e nero di dischi in vinile, con rispettive copertine, di famosi cantanti e gruppi rock, pop, country, jazz della cultura musicale americana fine anni '60. Sull'onda del più famoso "Twentysix Gasoline Stations", del 1963, con cui aveva fatto nascere il libro d'artista, Ruscha impagina le immagini con cura e senza alcun commento di testo, con l'intento di dare una documentazione il più obiettiva e neutra possibile, nello spirito che animava a quell'epoca la pop art, che faceva entrare nell'arte la serialità e la ripetitività delle immagini proposte dalla comunicazione di massa, senza darne una lettura lettura artistica o un giudizio morale. L'intento è doppiamente raggiunto con la scelta di fare del libro stesso un multiplo ad altissima tiratura, un oggetto in serie. L'artista segue con cura tutte le tappe della realizzazione del libro, sceglie le foto, le impagina con cura, cerca la carta giusta, guarda le bozze, poi però la affida alla produzione industriale, scardinando l'idea che un "bel libro" debba necessariamente essere fatto a mano e a tirature limitate per essere definito prodotto d'arte.
Il libro fa parte dei racconti visivi, delle storie fotografiche con cui Franco Vaccari si interessa alla vita quotidiana della città. Graffiti, scritte e immagini murali tracciati sulle pareti di caserme, scantinati, metropolitane e case popolari, sono i reperti di un'umanità senza volto che la macchina fotografica salva dalla distruzione, che l'artista cataloga con la pazienza di un archeologo. Ne vien fuori un museo epigrafico, una sorta di biblioteca delle strade, per dirla con Maiakovski, in cui questa scrittura primitiva rompe i tabù linguistici, scavalca le censure, libera la rabbia e fa riflettere sul rapporto tra la spontanea creatività di ciò che è popolare, rispetto al "popular" imposto dai mass-media.
"In un viaggio di 800 km ho fotografato sistematicamente i mezzi di trasporto merci che si muovevano nella mia stessa direzione; in questo modo ho usato la fotografia per vedere quello che non sapevo"
Il percorso artistico di Matta Clark, prematuramente scomparso all'età di 35 anni nel 1978, nasce nella New York dei primi anni '70, all'interno del collettivo Anarchitecture. La sua ricerca sui criteri di destrutturazione degli elementi architettonici che metteva a dura prova l'idea di stabilità e di sicurezza su cui si fondano le premesse costruttive di un edificio, passa da un primo approccio fotografico di tipo reportagistico che vede nelle periferie i suoi luoghi privilegiati, all'intervento su edifici reali che l'artista taglia, segmenta, sfonda, per approdare all'analisi dei dettagli architettonici, indizi, tracce minime, impronte che egli pazientemente fotografa, ingrandisce, isola, e che poi ricompone in liste, sequenze, elenchi. Come le impronte fotografiche dei muri sgretolati che troviamo in questo libro, ingrandimenti di particolari sezionati e poi ricomposti, che l'artista ha poi stampato tipograficamente a mezzi toni: la fotografia, che documenta sempre le azioni di Matta Clark, diviene essa stessa opera compiuta.
E' del 1963 il primo libretto realizzato da Feldmann in piccolo formato, con la copertina di cartone e fotografie bianco e nero di immagini di giornale, riviste, cartoline, posters. Inizia così la ricerca dell'artista sul concetto di originale e sulle problematiche della riproducibilità dell'opera d'arte.
Il libro nasce all'interno di una più ampia ricerca sul colore che Nannucci iniziò attorno al 1970 e che aveva come obiettivo lo studio del rapporto luce-colore, ma anche dei relativi usi e significati. Fatto uno studio su campionature di colori prodotti industrialmente che fece rilevare risultati approssimativi e aleatori sulle possibilità di individuare un codice cromatico di base, Nannucci cercò risposte più convincenti cercando nell'ambito naturale esempi di colore allo stato puro, essendo la natura origine e riferimento di ogni fatto cromatico.