Comune di Reggio Emilia

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Soliani Raschini, Antonio. Dizionario militare-istorico-critico il quale, oltre i vocaboli antichi, e moderni appartenenti all'arte della guerra, contiene un trattato di essa in compendio. In Venezia, per Luigi Pavini, 1759. 4°, [8], 579, [5] p., [1] c. di tav. calcogr., antip.


Cuoio marmorizzato marrone su cartone decorato in oro. Margine esterno della cornice esterna provvisto di fogliami. Cartella interna caratterizzata da motivi fitomorfi negli angoli e dal decoro à la dentelle lungo il bordo interno dello specchio. Nel secondo scompartimento del dorso entro un tassello in cuoio rosso la scritta in caratteri epigrafici "DIZIONAR./MILITARE/DEL C. A. RASCHI"; un melograno centrale entro un motivo fogliato a mensola in quelli residui. Capitello di testa in fili écrus e verdi su anima circolare spezzata. Cucitura su cinque nervi. Tagli dorati. Stato di conservazione: mediocre – discreto. Diffuse gore biancastre ai piatti. Apprezzabili spellature del materiale di copertura. Supporti stanchi. Angoli ricurvi.

Gli inediti fregi e le note tipografiche consentono di assegnare la legatura al terzo quarto del secolo XVIII, verosimilmente eseguita nel Veneto.

Il cuoio marmorizzato consiste in una tecnica volta a ottenere sul cuoio particolari effetti cromatici che richiamano le venature del marmo o le macchiettature del granito, ottenuti con l’applicazione a spugna, a tampone o a spruzzo di colori o di acidi mordenti, come potassa, solfato di ferro, acido acetico e acido nitrico. Il pellame usato più di frequente è il vitello nei colori nocciola e marrone scuro, in quanto più adatto alla maculatura. La marmorizzazione può essere eseguita direttamente dalla conceria al momento della tintura ma anche dai legatori stessi, sia prima di eseguire la legatura sia su legature già eseguite, quando la marmorizzazione deve essere limitata a riquadri o cornici. La marmorizzazione, che si presta a rendere meno visibili eventuali imperfezioni della pelle, può assumere molteplici aspetti. Se è caratterizzata da numerose macchie scure, piccole e irregolari viene detta granité; se le piccole macchie sono molto fini, di colore vivo, viene detta jaspé; e se sono un po’ più grandi, moucheté. Se la venatura più scura imita l’aspetto dei nodi del legno, si chiama radica o raciné; se ricorda il carapace di una testuggine, écaille; se imita i cerchi concentrici di un tronco sezionato, tree-calf.
Legature in cuoio marmorizzato venivano già eseguite nel secolo XVI. Coperte marmorizzate sono state segnalate su un’aldina del 1503, legata non prima del 1513; su alcune legature del celebrato bibliofilo Jean Grolier, verso il 1540; di Enrico II, verso il 1550 (la biblioteca reale di Fontainebleau ne conserva esemplari di differente colore); di Maioli, verso il 1550-1560; e su una legatura di Jacques – Auguste de Thou, della fine del secolo. L’invenzione di questo tipo di marmorizzazione è da assegnare ai legatori veneziani verosimilmente inseriti nell’orbita di Aldo Manuzio, intenzionati a imitare i disegni dei marmi antichi che allora affascinavano gli umanisti. A Venezia, nel Rinascimento, le legature venivano marmorizzate anche a spugna o a spruzzo, con il pennello solitamente intriso di colore nero. Una legatura alla greca, in pelle colorata di marrone, marmorizzata di nero a tampone, è stata segnalata alla Biblioteca Marciana di Venezia su un testo stampato dalla bottega di Aldo Manuzio nel 1503. Quando la marmorizzazione veniva fatta dopo il montaggio del cuoio sulla legatura, i risvolti sull’unghiatura venivano tinteggiati; sui rimbocchi il colore poteva essere ripreso con una serie di pennellate dello stesso colore.
Fu nel XVIII secolo che la marmorizzazione venne di gran moda e fu spesso direttamente eseguita nei riquadri centrali delle coperte (marmorizzazione a spruzzo nello specchio), nelle cornici e a pieno campo.
L’impiego di acidi si è però rivelato nel tempo causa di degrado del cuoio che, a seconda della concentrazione, col tempo presenta corrosioni e bruciature anche gravi: il cuoio bruciato, sbriciolato, non tarda a cadere in polvere: sorte alla quale sfuggono in parte quelli raciné, prodotti con acidi molto diluiti, e, naturalmente, i cuoi marmorizzati con pigmenti anziché con acidi.
Esistono, anche se più rare, legature in cuoio marmorizzato con la stessa tecnica usata per le carte, mediante l’impiego di colori posati in sospensione su una base gelatinosa: una tecnica che non produce effetti corrosivi sul cuoio. In genere le coperte marmorizzate hanno poche decorazioni in oro: una semplice filettatura a volte dentellata, un sottile merletto o una greca lungo il bordo dei piatti. Inoltre la stessa marmorizzazione viene talvolta ripetuta con un elegante effetto cromatico sui tagli.

Lungo il riquadro interno spicca, di gusto seicentesco, il decoro à la dentelle o a pizzo1 che indica la decorazione impressa generalmente in oro o lega d’oro (raramente a secco) per mezzo di piccoli ferri. Il termine è attribuito anche a decorazioni eseguite a rotella o con piastre. Questa decorazione è peculiare della seconda metà del secolo XVII e di buona parte del XVIII e s’ispira ai merletti di moda nell’abbigliamento sia maschile sia femminile; i disegni, infatti, vengono copiati dai volumi riproducenti la trama dei pizzi e delle trine degli abiti dei grandi signori.
Le dentelles pongono in risalto la cornice del piatto il cui centro rimane vuoto o è occupato dalle armi. I pizzi seicenteschi differiscono da quelli del secolo successivo. I primi sono formati da una cornice detta dentelle droite o diritta caratterizzata da un disegno continuo impresso con una rotella sottile a filetto o a dente di topo alla quale è accostata, all’interno, una rotella con motivi tipici delle dentelles: volute, sottili fregi floreali, spesso terminanti a punta. I secondi, di esecuzione più impegnativa, presentano un disegno a combinazione realizzato con una grande varietà di piccoli ferri rappresentanti uccelli, fiorellini, cuori, conchiglie, anelli, simboli campestri, stelline, contenuti in volute di fogliami stilizzati, prominenti agli angoli o al centro dei lati. Vengono definiti pizzi irregolari e dal 1720 circa resteranno in uso per oltre 50 anni.
 
Note di dettaglio