Comune di Reggio Emilia

Volunteers in San Francisco

 L'effimera utopia psichedelica di Haight-Ashbury
(1966-1969)

1. Introduzione
2. Le band:
                  Jefferson Airplane
                  Grateful Dead
                  Quicksilver Messenger Service
                  Janis Joplin and The Big Brother & Holding Company
                  Country Joe and The Fish
                  e gli altri 


3. Bibliografia (impostata fronte/retro per stampa)




 

Volunteers in San Francisco –  L’effimera utopia psichedelica di Haigh-Ashbury

 

Con una di quelle incredibili coincidenze a cui vorremmo poter dare un significato, lo scorso 28 gennaio sono morti Paul Kantner e Signe Toly Anderson. Probabilmente non molti ricordano che questi due musicisti furono tra i membri fondatori dei Jefferson Airplane (insieme a Marty Balin, Jack Casady, Jorma Kaukonen e Skip Spence), una delle rock band più importanti degli anni Sessanta, protagoniste della “rivoluzione” psichedelica che esplose a San Francisco in quel decennio. “La storia è già stata raccontata mille volte” afferma con sicurezza Gigi Marinoni nel 1991 nell’introduzione al volume The psychedelic years, come a dire che non vi sarebbe bisogno di aggiungere nulla a ciò che tutti sanno già: ma siamo sicuri che anche oggi, a 50 anni dalla nascita di quella “storia”, il ricordo sia ancora così diffuso?

Siamo certi che tutti sappiano cos’erano il flower power, gli Human be in, il Fillmore e l’Avalon o i trips festival di Ken Kesey?

Che i nomi di Albert Hofmann e Timothy Leary, Bill Graham, Jerry Rubin, i Weathermen, ma soprattutto quelli di Paul Kantner, Jerry Garcia, Grace Slik e Jim Cipollina abbiano ancora un significato per gli abitanti degli anni Duemila?

Convinti che molto si sia perso e che i tanti anni trascorsi abbiano cancellato le tracce di quello strano momento che ha così profondamente plasmato l’immaginazione e le fantasie di un’intera generazione, abbiamo pensato di rendere onore a Kantner e oly proponendo un tributo a quella breve (brevissima) utopia politico-culturale il cui nome nasceva dall’incrocio delle strade di Haight e Ashbury. Quel quartiere fu il luogo simbolo della nascita – ad inizio 1966 - di un movimento che affondava le radici nel fenomeno beatnik di Ginsberg e Ferlinghetti e che trovava nella Bay Area le condizioni

migliori per svilupparsi e prosperare. Diverso sia dal radicalismo newyorkese che dal disimpegno freak di Los Angeles o dai movimenti filocomunisti delle città industriali, il sogno hippie che nacque a San Francisco profetizzava una rivoluzione pacifista e comunitaria, tanto affascinante quanto utopica, che conquistò cuori e menti dei giovani di tutto il mondo negli anni Sessanta e Settanta, ovvero ancora anni dopo la sua scomparsa.

 

Non è mai semplice distinguere tra mito e storia, tra le tante leggende narrate su Haight-Ashbury e ciò che veramente avvenne; prova ne siano i volumi pubblicati da Ezio Guaitamacchi, ricchi di dicerie e storie confuse, o l’unico testo in lingua italiana ad esse interamente dedicato, quel High Times di Len Zidiak edito dalla Tarab di Firenze, vera e propria operazione di pirateria editoriale come non ne vedevo da decenni: nessuna indicazione di copyright originale, una traduzione che definire approssimativa è un eufemismo e la sostituzione del vero nome dell'autore dell'edizione americana (Joel Selvin) con uno totalmente farlocco (Len Zidiak). Eppure anche Summer of love (questo il titolo originale del volume) è un susseguirsi di aneddoti spesso poco credibili e difficilmente verificabili; anche se la lettura è divertente e interessante, non è possibile credere a tutto quello che vi è scritto.

Quel che è certo è che ad inizio 1966 Haight-Ashbury divenne simbolo del flower power, attirando un numero crescente di hippie e, in generale, di giovani provenienti da tutti gli Stati Uniti per dar vita a quella che viene ancora oggi ricordata come la Summer of love, ovvero l’estate del 1967. Ma arrivarono anche masse di curiosi, truffatori, spacciatori, disperati e sbandati che snaturarono l’iniziale caratteristica dell’ambiente, trasformando in breve il quartiere (e il sogno) da luogo utopico a zona malfamata: così nell’ottobre del 1967 un corteo funebre sfilò lungo le vie di San Francisco portando a spalla una bara rappresentante il vero spirito hippie. Era solo l’inizio della fine: troppa gente e troppa disperazione per quelle poche strade! I Grateful Dead trasferirono la loro comune dalla storica sede vittoriana al 710 di Ashbury Street in un ranch in aperta campagna mentre l’altra band di punta, i Jefferson Airplane, mantenne la loro sede al 2400 della vicina - ma esterna al quartiere di Haight-Ashbury - Fulton street.

Tutto ciò contraddice la cronologia che per molti anni è stata accettata come “ufficiale” e che faceva coincidere lo zenit del flower power con il Festival di Woodstock (agosto 1969) e il suo nadir con quello di Altamont (dicembre 1969). In realtà è proprio a San Francisco che quel movimento iniziò e terminò: nei locali quali il Fillmore (poi Fillmore west), l’Avalon ballroom o il Matrix, negli spettacoli censurati della San Francisco Mime Troupe, nelle Feste organizzate dalla Family dog, nei trip di massa dei Merry pranksters di Ken Kesey e, soprattutto, nel Monterey Pop Festival del giugno 1967, dove la locale scena musicale riuscì ad imporsi anche a livello internazionale. E sono proprio queste band l’argomento della nostra vetrina tematica, ovvero la musica che fece da “colonna sonora” al flower power, il cosidetto acid-rock.

 

Il genere è così definito non tanto per le sue caratteristiche musicali – e in questo senso sarebbe più appropriato il termine “folk psichedelico” - quanto per le pratiche culturali e sociali nelle quali tale musica veniva suonata e fruita: è infatti impossibile scindere il suono dei Jefferson Airplane, Grateful Dead o Quicksilver Messanger Service dalle esperienze lisergiche che coinvolgevano gli spettatori e i musicisti stessi. Occorre ricordare infatti che fino al giugno 1966 l’LSD era una sostanza legale - e in quanto tale veniva distribuita e consumata in grandi quantità durante i famosi (e famigerati) test lisergici di Ken Kesey e i concerti delle band appartenenti alla locale scena hippie; in particolare si ricordano le performance dei Grateful Dead di Jerry Garcia, spesso gratuite e caratterizzate dal consumo di sostanze psicotrope.

Non che dopo la messa al bando dell’acido lisergico tali pratiche furono abbandonate, anzi: il consumo di LSD fu sempre associato ai concerti delle band affiliate al movimento, con l’unica novità di un aumento vertiginoso degli arresti per possesso di stupefacenti.

L’acid-rock come fenomeno musicale sopravvisse alla fine della Summer of love e dell’utopia hippie ancora per qualche anno ma, orfano della propria fonte ispiratrice, si dimostrò incapace di confermare l’eccezionale creatività degli anni precedenti: così quasi tutte le band si sciolsero mentre quelle poche che continuarono l'attività scelsero percorsi musicali diversi, spesso con risultati commerciali molto soddisfacenti. Così i Jefferson Airplane nel 1974 si trasformano in Jefferson Starship e iniziarono a scalare le classifiche mondiali di vendita con album di pop-rock di facile beva, i Quicksilver addolcirono il sound fino a renderlo totalmente innocuo e i Grateful Dead diventarono una delle band più amate di musica tradizionale Americana. Eppure…

Eppure a nulla sarebbero valsi il disco di platino (10 milioni di copie vendute) assegnato nel 1976 a Spitfire dei Jefferson o i concerti oceani dei Grateful nel tramandare la loro fama; e se ancora oggi i loro nomi sono ricordati è quasi esclusivamente per quei magici e lunghissimi 25 minuti di Dark star (che dimostrarono al mondo intero che esisteva un dimensione del rock ancora tutta da esplorare) o per quegli inni alla rivoluzione intonati dai Jefferson che oggi appaiono così datati ma che all’epoca cancellarono anni di banali “She loves you” per parlare alla mente e ai cuori di una generazione alla ricerca di una nuova speranza:

Hey now it’s time for you and me

Got a revolution got a revolution

We’re volunteers of Amerika

 

 

 

 

Le band
 


       






 

Jefferson Airplane

         

 

La scelta di porre in primo piano i Jefferson Airplane è motivata non solo dal doveroso tributo a Kantner e Toly Anderson ma soprattutto perché fu questa band a incarnare e rappresentare il vero spirito del movimento di San Francisco. Pur condividendo con i Grateful dead il ruolo di iniziatori di quella stagione culturale e musicale, i Jefferson Airplane furono coinvolti in prima persona nell’utopia di Haight-Ashbury, scrivendo canzoni i cui testi racchiudevano il comune sentire di quella generazione. “Le canzoni dei Jefferson Airplane furono in effetti sempre autoreferenziali, o piu` semplicemente autobiografiche: quello era il loro "marketing appeal" e quello e` oggi il loro tallone d'Achille.” scrive a ragione Scaruffi, ma il fatto che se ascoltati oggi quei testi risultano datati come una cartolina in bianco e nero non pregiudica il valore qualitativo di quelle canzoni a dimostrazione che i Jefferson Airplane furono grandi musicisti che scrissero grande musica.

E' infatti impossibile trovare nella discografia della band un disco brutto o di qualità mediocre: anche l'album d'esordio, Take off, pur essendo composto da semplici composizioni folk-rock (a firma Balin), riuscì là dove nessuno era mai arrivato, ovvero fornire una colonna sonora al nascente movimento; e pochi mesi dopo vi fu la conferma definitiva con Surrealistic pillow. Con questo album la musica dei Jefferson Airplane assume una dimensione originale e inimitabile: Kantner sposta la band verso un impegno politico che la nuova cantante Grace Slick canta con voce maestosa, intrecciandola non solo con le armonie vocali degli altri componenti ma sposandola alla chitarra sempre più acida di Kantner e al blues della coppia Kaukonen e Cassidy, creando così un suono corale e coeso. Il successo di brani quali Somebody to love e White rabbit lanciano il gruppo verso una fama intenazionale che permette loro di pubblicare nel 1967 il loro disco più psichedelico, After Bathing At Baxter's, anticipando i grandi capolavori di acid rock dei Grateful dead. E’ infatti in questo album che la classica forma canzone viene superata alla ricerca di soluzioni più complesse e di una scrittura originale, lasciando maggiore libertà alle chitarre e alle percussioni alla ricerca di nuove armonie.

Ma il mondo nel quale sono nati i Jefferson Airplane inizia lentamente a sfasciarsi e Crown of creation ne è una dimostrazione lampante: se da una parte l’album contiene l’inno definitivo della generazione hippie (la canzone omonima), dall’altra vi è un ritorno alla canzone tradizionale degli esordi, con alcune ballate come Lather e Triad (scritta da David Crosby) tra le più intense del loro repertorio ma anche colme di disillusione.

Improvvisamente esplode il Sessantotto, i movimenti giovanili scuotono il mondo e i Jefferson Airplane decidono di passare dall’utopia alla politica (anche se con uno sguardo universale, diversamente dai comunisti Country Joe & the fish). Volunteers è il risultato di questa nuova scelta e anche il loro capolavoro definitivo: la musica si sposa con l’ideologia, le canzoni fondono perfettamente tradizione e psichedelia, il suono è più duro e adulto. Se l’iniziale We can be togheter lancia un appello all’unità di tutti i “fuorilegge d’America” per abbattere i muri, la finale Volunteers dichiara guerra al potere inneggiando alla Rivoluzione, con un evidente abbandono del sogno pacifista per una lotta di strada; non a caso nel 1971 la Slick dedicherà una canzone a Diana Oughton, componente dei Weathermen, morta durante la preparazione di una bomba.

Nonostante la perfezione di Volunteers, i Jefferson Airplane iniziarono a disgregarsi: tra Cassidy e Kaukonen interessati al loro nuovo gruppo di blues “antiquario” (gli Hot Tuna), Balin ormai emarginato e Kantner sempre più politicizzato, l’amalgama che rendeva grande il gruppo si perse, come dimostra l’album successivo. Bark è infatti un disco confuso e confusionario, ancora ricco di canzoni piacevoli e ben scritte ma non all’altezza nemmeno della prima produzione solista della coppia Kantner-Slick, Blows Against The Empire, ennesimo capolavoro di due musicisti innamorati dell’utopia che cercano nello spazio quelle speranze che avevano ormai perso sulla Terra.

La fine della storia dei Jefferson Airplane avviene nel 1972, con la pubblicazione di Long John Silver. E’ un disco di reduci di una guerra ormai persa che cerca di compensare i vuoti delle composizioni con arrangiamenti eccessivi, chitarre isteriche e voci urlate. Ma non c'è nulla da fare: indietro non si può tornare. Ma l'iniziale grandezza dei Jefferson non può essere offuscata dal successivo declino; e che siano stati una band tra le migliori della storia del rock lo potrebbe testimoniare la jam The Ballad of You & Me & Pooneil durante il loro set a Woodstock: a mio parere il momento più emozionante di tutto il festival! 

Scomparsa la capacità di fondere musica e vita, utopia e melodie, i Jefferson non hanno più senso d’esistere: si sciolgono per poi ripresentarsi con il nome di Jefferson Starship, producendo album di qualità sempre peggiore ma con singoli di grande successo. Il sogno di Haigt-Ashbury era ormai così lontano da essere dimenticato anche dalla band che più di tutte lo aveva incarnato.






Grateful Dead

      


 

“I Grateful Dead, da molti considerati il massimo complesso di musica rock di tutti i tempi, furono un monumento della civiltà hippie di San Francisco e, in generale, un monumento della civiltà psichedelica degli anni '60.” (Scaruffi)

Il “morto riconoscente” rappresentò, rispetto ai Jefferson Airplane, l’altra faccia dell’utopia di Haight-Ashbury, ovvero quella del disimpegno politico e del disinteresse verso l’utopia hippie. Ciò non significa che Jerry Garcia, Phil Lesh, Pigpen McKernan, Bill Kreutzmann e Bob Weir non fossero indissolubilmente integrati in quel movimento anzi, quasi paradossalmente ne rappresentarono la concretizzazione vivente: abitavano in una comune, i proventi dei loro concerti erano suddivisi tra tutti, sperimentavano ogni sostanza psicotropa esistenti come scelta di vita ed erano musicisti appassionati, sempre pronti a suonare gratis per qualsiasi causa. E anche per questo il primo loro album produsse una delusione generale: invece di ascoltare su disco una trasposizione dei loro famigerati concerti, Grateful dead era una semplice e banale raccolta di cover blues e folk. Ma consapevoli dell’errore commesso il disco successivo fu uno dei grandi capolavori dell’acid-rock: Anthem of the sun rappresenta un viaggio psichedelico in territori musicali mai percorsi fino ad allora, dove non esistono più regole e limiti, dove composizione e fruizione sembrano coincidere – sempre che si possieda la chiave del nuovo mondo creato dai Grateful Dead (e la chiave è naturalmente a forma di pasticca). Le vendite dell'album furono scarse ma ciò non impedì loro di diventare una delle band più conosciute di San Francisco. Il passo successivo fu Aoxomoxoa, un album di canzoni strutturate che pescano dalla tradizione musicale americana (country, blues, ballad) amalgamandola perfettamente con la tensione psichedelica che aveva sorretto Anthem of the sun. Il disco è perfetto: grande ispirazione, arrangiamenti senza sbavature, sintesi all’estremo senza nessun eccesso, immaginazione ai massimi livelli. A questo punto il mondo era pronto per il loro più grande capolavoro, quel Live/Dead (che in realtà avrebbe dovuto intitolarsi Skullfuck ma che al termine di lunghe discussioni con la casa discografica rimase senza titolo) che non solo fotografava la forma/concerto del gruppo ma che dimostrò come l’acid–rock fosse arrivato alla sua forma più estrema e insuperabile. Tutto ciò è emblematizzato in Dark star, ovvero 23 minuti di un viaggio allucinato. Ma per meglio capire di cosa stiamo parlando lascio la parola a Alberto Leone: “La “Stella Oscura” è un’epifania biblica, un’apparizione epocale che concilia miticamente gli opposti. Yin e yang, caldo e freddo, materialità e spiritualità, riflessioni interiori e deliri cosmici. Siamo ai bordi di un buco nero che contiene il tutto e il nulla, sulla soglia di un baratro in cui la luce più accecante diviene il buio della non esistenza. Infine… l’apoteosi… la fuga solitaria della chitarra liquida di Jerry Garcia che ricama frattali sonori incrociando e deviando i fraseggi atonali di Weir e le corde melmose di Lesh, fino a spingersi laddove nessuno avrà mai più il coraggio di osare. Un’astronave lanciata alla velocità della luce verso universi paralleli. Il brano live per antonomasia e il timbro sul passaporto dei Dead per il definitivo volo nella leggenda.”

Le capacità musicali dei componenti della band, la presenza di Tom Constanten, cresciuto nell'avanguardia atonale Europea e Americana, le sempre più sperimentate improvvisazioni modali tipiche del free-jazz e la trasformazione della jam in un’opera colta resero i Grateful dead uno dei più immensi “esperimenti musicali” della storia del rock.

Poi, improvvisamente, tutto cambiò: probabilmente i componenti della band si resero conto prima di tutti gli altri che Haight-Ashbury stava morendo come molti dei tossicodipendenti che l'abitavano, che il clima attorno a loro era cambiato e che l’entusiasmo iniziale era stato sostituito dallo sconforto e dal senso di fallimento. Fatto sta che Tom Constanten se ne andò (o, a seconda delle versioni, venne cacciato) e il loro disco successivo Workingman's Dead si rivelò essere una raccolta di canzoni country e di semplici ballate campagnole, certamente ben composte ma che rappresentarono non una semplice svolta nel suono dei Grateful dead ma una vera e propria involuzione verso la tradizione musicale americana. American Beauty fu la conferma definitiva del nuovo percorso scelto dal gruppo: musica country pura e semplice! Brani di grande successo quali Trucking e Sugar Magnolia furono la pietra tombale dei Grateful Dead di Haight-Ashbury: da questo momento in poi per loro solo vendite alle stelle e musica totalmente inutile.




Quicksilver Messenger Service

  


 

Anche se probabilmente è il nome meno famoso tra i principali interpreti dell’acid-rock, fu in realtà la band che registrò il miglior album di psichedelica pura.

Anche se il leader della band era un famoso folksinger di San Francisco – Dino Valenti – il suo arresto spinse un suo collaboratore, John Cipollina, a farne le veci formando il gruppo insieme a Gary Duncan, Greg Elmore e David Freiberg. Il primo dei disco Quicksilver Messenger Service era ricco di canzoni piacevoli e ben suonate (da Dino’s song a Gold and silver) caratterizzate dalla chitarra psichedelica di Cipollina. Nulla però lasciava presagire che solo un anno dopo la band sarebbe stata capace di pubblicare Happy trails, registrato in parte dal vivo per problemi economici, un capolavoro lisergico nel quale i brani si dilatano e si rarefanno in un flusso continuo di suoni psichedelici. In pratica i Quicksilver presero alcune composizioni di altri autori (quali Who do you love? e Mona di Bo Diddley) immergendole in una soluzione di acid, fusion e sperimentazione, utilizzando le versioni originali come semplici canovacci per improvvisazioni e lunghi assoli della chitarra di Cipollina, libero di spaziare nel tempo e nello spazio, supportato dalla maestria degli altri musicisti. Happy trails appare all'ascolto un'unica lunga jam dove il sound diventa liquido, le incursioni nell’improvvisazione si moltiplicano fino a stravolgere il brano originario per poi riaffiorare in superficie, recuperare la melodia e ripartire per il viaggio lisergico. Tutto termina con Calvary, dove il suono si fa astratto e improvvisato come un quadro di Pollock, dove il palinsesto viene continuamente cancellato e riscritto dalle urla elettriche della chitarra e dal rumorismo degli altri strumenti.

L'album successivo mostra un ritorno abbastanza brusco alla realtà: Shady Grove è una raccolta di ottime canzoni di impostazione tradizionale con alcune tracce di matrice psichedelica senza però la genialità dell'album precedente. Fortunatamente gli interventi del pianista e tastierista inglese Nicky Hopkins arricchiscono gli arrangiamenti di una freschezza nuova, fino a comporre uno dei brani più interessanti dell'album, Edward, The Mad Shirt Grinder

Non sappiamo cosa sarebbe successo se Valente fosse rimasto in galera ancora qualche mese ma certamente il suo ritorno nel gruppo coincise con un’involuzione del suono (e forse non sarebbe potuto essere diversamente). Il gruppo produsse due dischi - Just for love e What about me - sempre meno ispirati e sempre più dolciastri fino all'inevitabile scioglimento, avvenuto nel 1973.





Janis Joplin and The Big Brother & Holding Company 

     



La pagina più drammatica di tutto il movimento musicale di Haight-Ashbury ebbe come protagonista Janis Joplin, vicenda emblematica della parabola autodistruttiva di una parte di quella generazione che si identifico nel flower power.

Giunta a San Francisco dal Texas dopo un’adolescenza travagliata, la Joplin trovò nell’ambiente della Bay area una dimensione a lei congegnale per esprimere la sua arte ma anche per cercare nello “sballo” la soluzione ai problemi esistenziali. E' infatti impossibile comprendere la sua musica senza conoscerne la vita, così come apprezzarne la voce - vibrante e passionale – senza rapportarla alle sue esperienze personali, segnate da eccessi e scelte spesso errate.


Nel 1966 Janis Joplin diventa un po’ casualmente la cantante di un gruppo abbastanza conosciuto nell’ambiente di Haight-Ashbury, i Big Brother & the holding company – capitanato da Sam Andrew e James Gurley - con il quale pubblicò un primo album di canzoni folk e blues, non certo rappresentativo della loro musica dal vivo, molto più spostata verso l’acid-rock.

Con il successivo Cheap Thrills i Big Brother & the holding company raggiunsero una maturità musicale e compositiva che li impose all’attenzione del pubblico di tutto il mondo: la forza d’urto della Joplin – sempre più auto-distruttiva e scandalosa – viene qui perfettamente supportata dagli altri componenti del gruppo, producendo alcune dei brani più celebri e celebrati del blues-rock: Summertime, Ball and Chain e quella Pieces Of My Heart eseguita con un’intensità davvero stupefacente.


Ma la Joplin non si accontentava dei traguardi raggiunti, voleva di più, voleva essere ancora più famosa; decise dunque di abbandonare i Big Brother al loro destino e crearsi una band di semplici accompagnatori. Fu un errore fatale, sia per il suo equilibrio mentale che per i risultati artistici: Joplin fu una grandissima cantante, soprattutto di blues, ma incapace di comporre grande musica. Senza più una vera band di supporto fu costretta a limitarsi all'esecuzione di cover d'autore. Prova ne sia il primo album solista I Got Dem Ol' Kozmic Blues Again Mama!, non all'altezza delle aspettative.

Anche le sue performance dal vivo iniziarono ad essere talmente altalenanti da renderla sempre più insicura ; e le uniche soluzioni che conosceva a queste crisi erano l’alcol e l’eroina. Pur con un ultimo tentativo di disintossicazione e il progetto di ricrearsi come personaggio adottando il soprannome di Pearl, la sua strada era ormai segnata: il 4 ottobre 1970 fu trovata morta a Hollywood a causa dell’ennesima overdose (sembra che ne avesse già superate nove).


Postumo uscì il suo album più bello e intenso, Pearl, un collage di canzoni varie e drammatiche, che comprendeva Mercedes Benz, l'ultimo brano che incise prima di morire.

“Joplin, più che uno stile, impose un personaggio emblematico di quella generazione disperata di ragazzi scappati da casa per cercare un mondo migliore, e, dopo estenuanti torture, fucilati dalla realtà.” (Scaruffi)






Country Joe & The Fish

 


I Country Joe and the Fish rappresentarono l’anima più politicamente impegnata del movimento musicale di San Francisco: il leader e fondatore Joe McDonald, figlio di comunisti, fu sempre interessato in particolare agli aspetti ideologici del flower power, motivo per il quale non riuscì mai a conquistare fino in fondo il cuore di Haight-Ashbury mentre divenne famoso nei campus universitari di Berkeley.

Nonostante le decine di album prodotti e le centinaia di concerti che lo videro protagonista nella Bay area, la fama imperitura di Joe McDonald deriva da un episodio fortuito avvenuto durante il concerto di Woodstock e immortalato nel film di Michael Wadleigh. E’ lo stesso protagonista a ricostruirlo nell’introduzione al libro di Guaitamacchi Figli dei fiori, figli di Satana: era pratica comune che nei concerti dei Country Joe and the Fish venisse lanciato il F-I-S-H cheers (“Gimme an F… / Gimme a I… /Gimme a S… /Gimme a H… / What’s that spell? FISH) seguito dal loro brano più conosciuto I Feel Like I'm Fixin To Die, un inno contro la guerra del Vietnam. Prima di un concerto al Fillmore il batterista Gary Hirsh suggerì di sostituire il FISH con la parola FUCK, proposta accettata dal resto della band, consapevoli che ciò avrebbe significato per loro il bando dai programmi TV e da alcuni locali californiani.

Tornando a Woodstock, la tre giorni fu aperta dal concerto di Richie Havens – la cui forsennata versione di Freedom rimane il momento più alto della sua carriera – al quale fu chiesto di proseguire la performance poiché non c’era nessuno degli artisti che avrebbero dovuto sostituirlo. Ma Havens, dopo due ore e mezza, crollò fisicamente e fu costretto a terminare il set; e ancora nessuno era pronto a prendere il suo posto. Passarono ancora due ore finché qualcuno dell’organizzazione notò Joe Mcdonald che passeggiava nei pressi del palco (il concerto dei Country Joe and the Fish era previsto per il giorno successivo) e lo pregò di salire sul palco per intrattenere il pubblico: gli fu data una chitarra e mandato a suonare. “Dopo 20 minuti, però, non sapevo più cosa fare, anche perché nessuno sembrava interessato al mio set – ricorda McDonald - così, un po’ in ansia, andai da Bill Belmont e gli ho chiesto se per lui fosse una buona idea fare il FUCK cheers e poi Fixing-to-die rag”. Il risultato fu straordinario: il pubblico si alzò ad applaudirlo e il resto del mondo poté assistere alla sua performance al cinema. “Non sapevo che dopo quei cinque minuti di apparizione, la mia vita sarebbe completamente cambiata”: Country Joe era ormai entrato nel mito della musica rock!

 

Ma sarebbe ingiusto ridurre la carriera di McDonald (e di conseguenza dei Country Joe and the Fish) a quell’unica esibizione poiché anche i primi due album della band furono ottimi esempi di folk-rock psichedelico dove satira politica (tipo Fugs) e denuncia sociale si fondevano perfettamente, come accadeva nei "rag baby", sorta di comunicati musicali da distribuirsi ai suoi concerti. E se il primo disco - Electric Music For Mind And Body – era pieno di idee e invenzioni, il successivo I Feel Like I'm Fixin To Die è da considerarsi l'opera più riuscita della band, un picco in seguito mai più raggiunto, nemmeno nella carriera solista di McDonald.

E ora, tutti insieme: Datemi una F… datemi una U…





e gli altri

     

 

Il cosiddetto Acid-rock non si esaurisce con i gruppi e i musicisti sopra elencati: sono tante le band o i folksinger che ne fecero parte, molti dei quali presto dimenticati, altri ancora oggi famosi e in attività.

Nessuno ricorda più i Charlatans nonostante furono i capostipiti del movimento, anche perché sono pochissime le registrazioni che rimangono della loro musica e l'unico album a loro nome fu pubblicato dopo la separazione. Oggi dimenticati anche i Mad river e i Moby grape dell'ex Jefferson Skip Spence, probabilmente a causa della scarsa originalità della loro musica, cosa che li condannò a scomparire con il tramontare del fenomeno psichedelico. Nessun ricordo nemmeno per gli It’s a beautiful day, nonostante la qualità dei loro dischi che meriterebbero una riscoperta grazie a composizioni originali che propongono una perfetta fusione di rock, jazz, folk, classica e world music; purtroppo non ci è possibile includerli nella nostra vetrina tematica a causa dell’irreperibilità commerciale dei loro dischi.

Vi sono poi nomi che ancora oggi si ricordano grazie a qualche singolo di successo: è il caso di Scott McKenzie che piazzò ai vertici delle classifiche di vendita di tutto il mondo il singolo  San Francisco celebrazione senza pudore del movimento hippie di quella città:

If you're going to San Francisco

Be sure to wear some flowers in your hair

If you're going to San Francisco

You're gonna meet some gentle people there


Oppure la Steve Miller band, capitanata (guarda un po’) da Steve Miller, un bluesman che si lasciò coinvolgere nell’ambiente psichedelico pubblicando ben quattro album nel biennio 1968-69. Dischi che andrebbero riascoltati e rivalutati anche perché fu solo dopo il 1970 con la svolta impressa dal leader verso un blues e country easy listening che la loro fama superò le frontiere di San Francisco per arrivare al successo mondiale con The joker (album e singolo). Ma a quel punto la storia qui raccontata era già terminata da tempo.

 

E poi vi è il caso particolare dei Santana, gruppo minore e collaterale della stagione dell’acid-rock ma probabilmente la band oggigiorno più conosciuta di tutto il movimento. Già il fatto che il loro primo, omonimo album fosse pubblicato nel 1969 fa capire come la loro nascista si collocasse al tramonto dell’utopia di Haight-Ashbury.

Formatisi nel 1966 i Santana erano composti da musicisti di varia provenienza geografica e musicale, particolarità che agevolò la nascita del loro sound che fondeva musica latina con il blues, il jazz e la psichedelia. Una serie di fortunate coincidenze ne fecero una delle più famose band californiane (già la scelta del nome avvenne in tutta fretta e principalmente perché “Santana” era più accettabile di Carabello o Rodriguez), in particolare ci riferiamo alla loro partecipazione a Woodstock, dove eseguirono il set più apprezzato di tutta il festival: fu infatti Bill Graham, il loro potente agente, a costringere l’organizzazione ad inserirli nella scaletta per poter compensare lo scarso cachet dell’altro suo gruppo, i Grateful Dead.

 

I Santana intrepretarono il bisogno di riflusso dopo la grande abbuffata di psichedelia, proponendo una musica più semplice e rilassante nella quale i lunghi e melodici assoli di Carlos Santana si reggevano su una eccezionale sezione ritmica. Già dal primo album il successo fu enorme, tanto che il disco successivo – Abraxas – spinse l’accelleratore sui suoni latini quali il calypso, samba e salsa, imponendosi con canzoni di successo quali Samba Pa Ti e Black Magic Woman.

Ultimo album contenente influssi acid-rock è Santana 3, disco di passaggio tra la prima parte della loro carriera e “la presa di potere” di Carlos Santana, con la nascita definitiva dello stile che accompagnerà il gruppo per gli anni successivi e che oggi definiremmo World-music.