Comune di Reggio Emilia

Canterbury sound




 









La scena di Canterbury: dai Soft Machine a Rock bottom
Aprile - Maggio 2015

(scarica la discografia e guida all'ascolto)


Introduzione 
La critica musicale (compresa quella inglese) riunisce all’interno della cosiddetta “Scena di Canterbury” alcuni musicisti che non solo negano di averne mai fatto parte ma che sostengono che tale scena non sia mai esistita. Eppure è un dato di fatto che tra l’inizio degli anni Sessanta e la metà dei Settanta l’omonima cittadina del Kent fu sede di un movimento musicale che, all’interno del genere Progressive, si distinse per un’originale sensibilità artistica. Ne facevano parte, tra gli altri, Robert Wyatt, Daevid Allen, Kevin Ayers, Steve Hillage, Richard Sinclair, Mike Ratledge i fratelli Brian, Hugh Hopper e molti altri; tutti nomi oggi probabilmente dimenticati dai più ma che all’epoca diedero vita ad una delle pagine più belle ed eccitanti della musica rock.
Tutto iniziò tra l’abitazione dei Wyatt e la Simon Langston School, luoghi frequentati da molti dei futuri protagonisti della scena locale. E’ in quest’ambiente che nasce The Wilde Flowers, gruppo formato da Wyatt, Ayers, Sinclair e gli Hopper, musicalmente superfluo con il suo beat immaturo ma dalle cui ceneri nascono i Caravan e i Soft Machine, capostipiti di tutto il Canterbury sound. Sono infatti questi ultimi a dettare le linee artistiche e musicali che definiranno il movimento, caratterizzato – come scrive Marcus O’Dair nella recente biografia di Wyatt – da “un certo stile rock psichedelico venato di jazz, pastorale, very english… con tempi complessi, una preferenza di tastiere rispetto alle chitarre e un modo di cantare convintamente radicato nell’East Kent, là dove i cantanti dell’epoca posavano tutti da Delta bluesman”. In realtà tale definizione è incompleta non considerando le molte altre influenze - dal minimalismo americano all’avanguardia elettronica - evidenti già dal primo omonimo disco dei Soft Machine, pubblicato nel 1968, caratterizzato da una capacità compositiva che innalza il gruppo al di sopra di quasi tutte le band rock coeve. Soft Machine è un album ancora un po’ acerbo nel suo miscelare il beat di Ayers alle atmosfere psichedeliche al profumo di jazz e oriente di Ratledge, ma già presenta alcune di quelle intuizioni che troveranno maturazione nel successivo disco, intitolato semplicemente Two: qui, tra improvvisazioni patafisiche, fantasie melodiche, percussioni in continuo movimento e jazz minimalista, siamo già sulla soglia del capolavoro, obiettivo raggiunto con Third, loro apice creativo e artistico e una delle pagine più alte della musica anni Settanta. Le defezioni di Ayers e Allen comportano una maggiore serietà musicale, ma le quattro lunghe suite che compongono Third riescono a fondere perfettamente le influenze jazz-rock e avanguardiste di Hopper e Ratledge, rafforzate dai nuovi arrivati Elton Dean, il clarinettista Jimmy Hastings e il trombonista Nick Evans. A Wyatt è riservata una sola facciata, a testimonianza di un isolamento che lo porterà poco dopo ad abbandonare il gruppo; ma prima di questo addio compone Moon in june, probabilmente il grande capolavoro dei Soft Machine, un lungo brano melodico colmo di malinconia e d’improvvisi cambi di ritmo, con un canto libero da regole e barriere.
Raggiunta la vetta non potrà che iniziare la discesa che si concretizza in una lunga serie di opere di ottimo jazz-rock, ben suonato e intenso ma sempre più convenzionale e “normalizzato”.
Sempre da una costola dei The Wilde Flowers nascono i Caravan, l’alter ego melodico e pop dei Soft Machine: meno attratti dalle influenze dadaiste e avanguardiste, più interessati alla forma canzone e agli aspetti più rilassati del Progressive, i Caravan pubblicano alcuni album in bilico tra jazz e romanticismo, tra pop leggiadro e psichedelia ironica. La presenza di alcune suite tipicamente canterburyane - quali With An Ear To The Ground You Can Make It o Nine Feet Underground - li eleggono a pieno diritto a grandi rappresentati del genere già a partire dal riuscito If I could do it all over again I’d do it all over again. Il loro capolavoro è del 1971 - In The Land Of Grey And Pink – in virtù delle abbondanti melodie fuse ad uno stile austero ed originale; un successo musicale subito bissato dall’altrettanto riuscito Waterloo Lily nel quale le influenze jazz sono più forti e decise. Ma è l’ultimo colpo di coda: da For Girls Who Grow Plump in the Night in poi, anche a causa di un cambiamento nella line-up, il gruppo inizia a mostrare una “proccupante” carenza di idee e d’ispirazione dalla quale non saprà mai più riprendersi.
Nel frattempo i compositori più originali del movimento percorrono proprie strade:
Kevin Ayers, il più iconoclasta ma anche il più capace di scrivere semplici melodie di grande impatto, se n’è andato a Maiorca a cercare forme alternative di divertimento. Pubblica nel 1970 il suo miglior disco (Shooting At The Moon), una raccolta di ballate stralunate, canzoni da vaudeville, collage di rumori e psichedelia con l’inserto di un gran numero di strumenti strambi e originali. Ma Ayers non ha mai avuto né la voglia né la capacità di accettare le regole dell’industria musicale, finendo per pubblicare saltuariamente album per pure esigenze “alimentari”, sempre più deludenti eccetto quel The Confessions Of Dr. Dream nel quale, per l’ultima volta, si sentono gli echi del tempo che fu.
Daevid Allen, bloccato in Francia a causa di problemi con il permesso di soggiorno, forma i Gong per dar libero sfogo alla sua follia cosmica: dopo alcune prove interessanti ma bizzarre, il gruppo pubblica tra il 1973 e il 1974 la trilogia di Radio gnome invisible (Flying teapot, Angel’s egg e You), un’esplosione di genialità inarrivabile che “fonde fiaba, operetta, cartone animato e teatro espressionista come mai nessuno aveva mai osato, il loro capolavoro e uno dei massimi capolavori della musica rock.” (Scaruffi). Inizia qui l’originale mitologia basata su teiere volanti e omini con la testa a punta provenienti dal piantea Gong, particolari che rendono superfluo spiegare cosa il musicista fumasse all’epoca. Per chi fosse interessato ad un approfondimento di quel mondo fantastico consiglio la lettura delle pagine ad esso dedicate da Cesare Rizzi in The prog side of the moon. Musicalmente parlando gli album della trilogia compongono, tra i “sussurri spaziali” di Gilli Smyth e i “glissando guitar” di Allen, un’unica sequenza di situazionismo rock, improvvisazione jazz, psichedelia esoterica e inattese esplosioni di cabaret progressive, ovvero il momento musicale più maestoso dell’Utopia hippie.
E infine c’è il vero grande genio della scena di Canterbury, il batterista/cantante/compositore Robert Wyatt. Dopo aver abbandonato i Soft Machine pubblica - nel 1970 - un’opera a proprio nome, il profondo e complesso The end of an ear, un pastiche musicale tanto affascinante quanto ostico all’ascolto che già nel titolo annuncia la fine di un certo modo d’ascoltare la musica. In seguito fonda i Matching Mole (un gioco di parole che nasce dalla scrittura in inglese della traduzione francese di soft machine) con i quali dà vita a due dischi intensi e affascinanti nei quali approfondisce la fede socialista e crea composizioni che spaziano dalla melodia più dolce alla sperimentazione più oscura. Ma il dramma è dietro l’angolo: cadendo da una finestra durante una festa, Wyatt rimane paralizzato negli arti inferiori, mettendo fine alla sua carriera di batterista. Così nel 1974 pubblica Rock bottom, una raccolta di canzoni (composte sull’isola della Giudecca a Venezia) che non solo segna la fine della sua partecipazione alla scena di Canterbury, ma sancisce anche il suo ingresso nella storia della musica popolare, oltre ogni genere e confine: Rock bottom è sicuramente uno dei più grandi dischi di sempre, certamente il più emozionante e struggente. Sarà l’inizio di una carriera solista che terminerà solo nel 2014 e di cui parleremo presto
 
Per concludere questa breve introduzione occorre citare ancora due gruppi fondamentali per la comprensione del Canterbury sound. Tra tutte le band che interpretarono (o reinterpretarono) gli stilemi del genere (come gli Egg, i Gilgamesh o i Camel), gli Hatfield and the North dall’ex Caravan Richard Sinclair e i successivi National Health furono i più significativi. I primi pubblicarono tra il 1973 e il 1975 due album che portano a compimento l’opera dei Matching Mole: melodie oblique, continue mutazioni ritmiche, aperture jazz e tanto umorismo nonsense. Pur composto da alcuni dei migliori musicisti della scena (Dave Stewart, Richard Sinclair, Robert Wyatt, Pip Pyle), il gruppo non riuscì ad incontrare il favore del pubblico. Si trasformarono presto in National Health (senza Sinclair, unitosi ai più “semplici” Camel), dando vita all’ultimo atto della Saga di Canterbury. Il gruppo non si discosta dalla precedente esperienza, né nei nomi coinvolti né nello stile, orientandosi verso un jazz rock meditato con una sezione ritmica di rara complessità. Purtroppo i loro due pur interessanti dischi furono pubblicati fuori tempo massimo (1978): ormai il punk aveva imposto ben altra musica, completamente opposta a quella tecnicamente perfetta ma molto celebrale di Canterbury.