corali

I libri corali erano utilizzati, come suggerisce il termine, per le parti cantate della liturgia religiosa. Ricoprendo anche una funzione di rappresentanza e suntuaria e dovendo peraltro essere letti quasi sempre da tutti i componenti del coro, il loro formato era molto grande (anche 55 x 40 cm) e venivano collocati, durante le funzioni, su un monumentale leggio, denominato “badalone”.

Presso la Biblioteca Panizzi si conservano diciannove corali miniati, tutti databili dalla metà del secolo XV al primo ventennio del secolo XVI, con l’eccezione di una testimonianza tardiva che giunge quasi a lambire il secolo XVII. I corali della Panizzi, giunti in biblioteca nel 1873, a seguito della soppressione delle congregazioni religiose, stabilita per legge nel 1866, provengono dalla Basilica della Beata Vergine della Ghiara (sei), dalla Cattedrale (due o tre) e da altre chiese reggiane non identificate.
La maggior parte di essi documenta il trapasso, in ambito locale, dal tardogotico di prevalente influsso lombardo, allo stile rinascimentale ferrarese, non senza interessanti sincretismi.
Il più antico è l’Innario 17.A.153, con sette iniziali figurate in stile tardogotico lombardo e la sottoscrizione del calligrafo Guiniforte da Vimercate, a torto ritenuto autore delle sezioni miniate, mentre sembra essere l’artefice delle lettere filigranate.
Di poco successivo è l’Antifonario 17.A.133, che, con il gemello 17.A.132, è ancora pienamente immerso nella temperie tardogotica, in particolare per l’iniziale figurata con Giuditta e Oloferne, splendido esempio di decorativismo gotico e, come sembra frequente in area reggiana, adeguamento più riuscito a un repertorio aulico, quasi tardotrecentesco.

Un corale che documenta ancora una volta la cultura tardogotica locale, con i suoi diversi influssi, lombardo e parmense, è l’Antifonario 17.A.144, proveniente dalla Cattedrale di Reggio. Il manoscritto è composito, essendo formato da una parte prevalente, databile al 1455-1460 e da un inserto che risale al primo decennio del secolo XVI. Nella parte più antica, la miniatura che ha attirato l’attenzione degli studiosi è il S. Martino e il povero, in cui è evidente il modello dei maestri parmigiani, aggiornati secondo i dettami del gotico maturo. Nell’inserto cinquecentesco, invece, una Trasfigurazione farebbe pensare alla bottega bolognese di Giovanni Battista Cavalletto.

Più chiaramente orientati verso stilemi ferraresi e rinascimentali sono due Graduali. Il primo è il Corali 17.A.146 della Cattedrale, ravvivato da trentotto iniziali decorate, probabilmente ispirate a Guglielmo Giraldi, accanto alle quali appaiono tre iniziali figurate (David in preghiera, Adorazione dei Magi, Natività), che denotano invece ancora un intreccio con il tardogotico. Secondo, non certo per importanza, è il Corali 17.A.142, assegnabile al primo decennio del secolo XVI. Esso contiene una sola iniziale figurata (Resurrezione) e trenta splendide iniziali decorate, che sembrerebbero attribuibili alla bottega del bolognese Giovanni Battista Cavalletto. Le iniziali decorate mettono in evidenza il passaggio dal secolo XV, in cui il repertorio era soprattutto fondato su decorazioni a fiori e fogliami, al secolo XVI, con l’aggiungersi di elementi come mascheroni, grottesche, draghi, animali più o meno fantastici, cesti e vasi di frutta.
Una importante acquisizione per il patrimonio dei corali miniati è rappresentata dal Salterio-Innario 17.A.166 della Cattedrale reggiana, donato alla Biblioteca Panizzi dalla Fondazione Giulia Maramotti nel 2003. Ricco di sedici iniziali figurate di grande effetto impressionistico, il volume si inserisce nel contesto artistico della Bologna a cavallo tra XV e XVI secolo, dominata dalla bottega di Giovanni Battista Cavalletto, il cui repertorio si riconosce nell’intera decorazione qui impiegata, comprese le parti non figurate dei fregi e delle iniziali.
La raccolta della Biblioteca Panizzi è completata dai seguenti sedici corali, che non contengono miniature: 1. Corali 17.A.137, Antifonario Proprio dei Santi da Sant’Antonio da Padova all’Avvento, proveniente dalla Basilica della Beata Vergine della Ghiara e facente parte della stessa serie francescana dei Corali 17.A.134, 17.A.140, 17.A.145, 17.A.150 e 17.A.151; 2. Corali 17.A.139, Graduale del Tempo dalla quarta domenica in Quadragesima al Giovedì Santo, continuazione del 17.A.138 col quale, in effetti, costituiva un unico volume, scisso nel secolo XVIII, proveniente anche questo dalla Basilica della Ghiara come tomo di uno stesso graduale francescano di cui facevano parte anche i corali 17.A.141, 17.A.143 e 17.A.154; 3. Corali 17.A.147-149, corali cartacei a stampa (XVI-XVII secolo); 4. Corali 17.A.152, corale cartaceo (XVIII secolo); 5. Corali 17.A.155, corale cartaceo (XVIII secolo); 6. Corali 17.A.156, corale cartaceo a stampa (XVII secolo); 7. Corali 17.A 157-159, corali cartacei (XVIII secolo); 8. Corali 17.A.160-161 corali cartacei a stampa (XVII secolo); 9. Corali 17.A.162, corale cartaceo a stampa (XVIII secolo); 10. Corali 17.A.163 e 17.A.165, corali cartacei (XVIII secolo). Gli unici volumi quattrocenteschi, i Corali 17.A.137 e 17.A.139, presentano capilettera filigranati a inchiostro alternato rosso e blu, di tipologia e qualità analoghe a quelli delle rispettive serie liturgiche.

Corali 17.A.132 | Corali 17.A.133 | Corali 17.A.134 | Corali 17.A.135 | Corali 17.A.136 | Corali 17.A.138 | Corali 17.A.140 | Corali 17.A.141 | Corali 17.A.142 | Corali 17.A.143 | Corali 17.A.144 | Corali 17.A.145 | Corali 17.A.146 | Corali 17.A.150 | Corali 17.A.151 | Corali 17.A.153 | Corali 17.A.154 | Corali 17.A.164 | Corali 17.A.166

Corali 17.A.132

Antifonario del tempo dalla prima domenica post epiphaniam alla domenica in quinquagesima, [1450-1455 ca.]


D (Domine) con David inginocchiato – c. 4r

Il presente volume copre il Temporale dalla domenica dopo l’Epifania alla domenica in Quinquagesima. Le dieci iniziali figurate sono da riferire a una stessa mano, che si apparenta in tutta evidenza al contesto tardogotico d’oltrepò, ma che al contempo – in alcuni trattamenti delle sezioni solo decorate, e fors’anche nella resa più massiccia delle figure – si mostra al corrente del repertorio ferrarese degli anni ’40 del secolo XV di tipo protorinascimentale che fornì la sua base formativa a Giorgio d’Alemagna: ciò che ritarda di qualche tempo la cronologia del volume, che è meglio allora posticipare alla metà del secolo, o poco dopo.
La cifra dominante è ancora quella del tardogotico lombardo, con richiami al ’Maestro delle Vitae Imperatorum”, in alcune impostazioni dei volti, al “Maestro Olivetano” e a Belbello da Pavia, chiamato in causa – per esempio – dal modo di rendere i paesaggi lumeggiati in oro; al di là di questi riferimenti orientati in modo specifico sul versante miniatorio, che in ogni caso rimangono presupposti necessari, per quanto tradotti su stilemi più bassi, l’apparentamento si instaura soprattutto con certi fatti pittorici assai prossimi cronologicamente, quali Cristoforo Moretti o anche, lato sensu, con la bottega degli Zavattari (tutti artisti, peraltro, di cui è stata proposta in passato, in modo più o meno convincente, un’attività come decoratori librari). E in effetti l’ambito cui dovrebbe appartenere il corale è più precisamente quello tra la Lombardia e l’Emilia, in una koinè, spesso difficile da definire sia dal punto di vista cronologico che territoriale, che ingloba, al di qua del Po, Piacenza, Parma e Reggio, al di là Pavia e Cremona, talvolta Mantova, che si stempera in andamenti più cortesi alla Bonifacio Bembo, e pare piegarsi alla lezione di Pisanello; pur se bisogna avvertire del problema, spesso poco o mal affrontato dalla bibliografia, che in effetti certi motivi compositivi o iconografici (e non stilistici) interpretati sovente come pisanellismi altro non siano in realtà che necessarie riprese da un repertorio all’epoca del tutto comune: milieu, insomma, cui tutti si rivolgevano. Il riferimento più stringente, comunque, è forse proprio con certe cose dei Bembo, in una circolazione che mi pare escludere del tutto l’area tardogotica bolognese, in un lasso di tempo in cui evidentemente a Reggio Emilia, città di confine, si guardava alla zona lombarda come esempio di maggiore qualità formale (lo stesso avviene peraltro, anche a date più avanzate, in altre zone dell’Emilia occidentale: Zanichelli 2000, p. 30); l’autore, se si considera il calibro stilistico non sempre del tutto controllato, fu forse un maestro locale, ciò che spiegherebbe – data l’appartenenza di Reggio allo stato estense – l’influsso ferrarese cui prima si è accennato e una certa sfasatura cronologica in avanti rispetto agli alti prototipi appena rammentati; a indicare come detto una circolazione di maestranze – secondo i canoni attuali – del tutto sovraregionale (caso analogo è il Mss. Vari B 114).
Il volume faceva parte della medesima serie liturgica del Corali 17.A.133, che qui segue.
Su questo, e su tutti gli altri corali, tranne i volumi 17.A.164 e 17.A.166, cfr. anche Ferrari 1920 e Ferrari 1921, le cui indicazioni non saranno riportate nelle singole schede, perché coincidenti, nel merito, con quelle del successivo Ferrari 1923, e Settima Mostra 1990, p. [185], a carattere divulgativo.

Corali 17.A.133

Antifonario del Tempo dalla prima domenica post Pentecosten alla ventiquattresima domenica post Pentecosten, [1450-1455 ca.]


P (Preparate) con Figura maschile e figura femminile davanti a Dio – c. 3r

L’antifonario faceva parte della stessa serie del precedente, e copre il periodo dalla I alla XXIV domenica dopo Pentecoste. La decorazione, a tutta evidenza spetta alla stessa bottega del tomo gemello; più precisamente, della stessa mano (cfr. Corali 17.A.132) sono senza dubbio le iniziali alle cc. 3, 11 e 93: in quest’ultima, la minore caratura formale va certamente addebitata alla volontà (o alla necessità) di amplificazione dimensionale dell’unica figura; leggermente diversa, un po’ più debole, e forse da riferire a un aiuto, è la scena di c. 108; splendido esempio di decorativismo gotico, l’incipitaria con Giuditta e Oloferne, a c. 119, si inserisce nel medesimo discorso, e una più alta qualità si spiega forse, più che con l’intervento di un diverso, più scaltro, artista, con un adeguamento più riuscito a un repertorio aulico, quasi tardotrecentesco (fatto peraltro a queste date assolutamente non sorprendente, se si pensa alle riprese dirette, vere e proprie citazioni, che di Giovannino de’ Grassi, o del Michelino da Besozzo del passaggio tra ’300 e ’400 della miniatura lombarda, opera a date del tutto prossime a queste il “Maestro del Breviario Francescano”). Nettamente debole, invece, e riferibile a un aiuto di bassa qualità, l’ultima scena del volume.

Corali 17.A.134

Antifonario del Tempo dalla Pasqua all’ultima domenica di ottobre, [1460-1470 ca.]


S (Surrexit) – c. 1r

Il volume proviene dalla Basilica della Ghiara, ma faceva parte di una serie di tomi contenenti l’intero antifonario che comprendeva anche i pezzi ora segnati Corali 17.A.137, 17.A.14017.A.14517.A.15017.A.151, eseguiti tutti in origine per un sito ecclesiale dell’ordine francescano, con ogni probabilità il Convento dei minori osservanti di Santo Spirito di Reggio, sede già ipotizzata (Lusetti 1983; poi Settima Mostra 1990, passim), ma che è stata poi mi pare definitivamente confermata (Zanichelli 2000, p. 38 n. 8) dal ritrovamento della testimonianza relativa alle sottoscrizioni di due corali, ora perduti, della serie di graduali gemella rispetto a questa (e pure passata alla Ghiara), una delle quali esplicita il dato qui in esame – ne rimangono gli attuali volumi 17.A.138, 17.A.139,17.A.14117.A.143 e 17.A.154. Quest’ultima venne realizzata tra il finire degli anni ’50 del secolo XV e la metà del decennio successivo (1458 è la data che compare sul 17.A.154; 1459 quella di uno dei due volumi non più reperibili ma testimoniati da padre Flaminio da Parma nel 1760, mentre l’altro è dell’anno precedente: Zanichelli 2000, p. 38 n. 8; il 1464 ci è riportato in modo indiretto in riferimento al 17.A.138); la serie di antifonari – che è come detto logico appaiare all’altra dal punto di vista della committenza, pur se in senso stretto non ve n’è certezza – dovrebbe invece cadere tutta sulla metà del decennio successivo, come si vedrà fra breve; in entrambe fu protagonista come copista Giovanni Coppo, con ogni probabilità da Perugia (l’alternativa di interpretare il suo toponimo come “Prussia” meno attendibile), protagonista di una fervida attività nelle zone dell’Emilia occidentale, tra Carpi, Parma, Mirandola e Busseto (sulla sua figura e la sua attività, vedi Zanichelli 2000, cui si aggiunga solo per completezza Lollini 2000a, pp. 9-15), e, appunto, Reggio, dove sostò senz’altro in due fasi distinte pur se ravvicinate.
Il ciclo di antifonari venne realizzato senz’altro anche per quanto concerne la decorazione miniata a date prossime al 1464 che compare in uno dei suoi pezzi, a datarne la stesura scrittoria (Corali 17.A.151, c. 163v). Le iniziali decorate presenti in questo volume sono definite in viola su fondo oro, e mostrano un utilizzo del repertorio fogliaceo di tipo ferrarese, con foglie d’acanto accartocciate e cerchietti dorati, miscelato a stilemi di origine lombarda, ancora tardogotici: rispetto alle altre incipitarie non figurate degli altri pezzi della serie, mostrano anche alcuni elementi lessicali non frequenti, basati su ordini successivi di foglioline che mirano a formare, contrapposti, una sorta di festone: lo stesso avviene nell’unica lettera eseguita a pennello del Corali 17.A.145, certo della stessa mano, leggermente distinta, dal punto di vista repertoriale, dalle altre attive nel ciclo, che si apparenta comunque ad altri esempi miniati collegati al nome di Giovanni Coppo.

Corali 17.A.135

Antifonario Comune dei Santi e Officium mortuorum, [1460-1465 ca.]


E (Ecce) con Apostolo – c. 3r

Il corale, un antifonario, fece probabilmente parte della stessa serie della coppia Corali 17.A.132 e 17.A.133, mentre è certo che sia gemello dell’altro tomo Corali 17.A.136. Una sfasatura cronologica tra le due paia (con quella 132-133 a precedere di un lustro o poco più quella 135-136) non può certo escludere di per sé la possibilità, infatti, che si tratti di un ciclo unitario, fatica che sovente occupava maestranze e committenti per periodi estesi, e talvolta non continuativi.
La decorazione va divisa tra due mani: la prima, abbastanza elegante, esibisce fisionomie allungate e panneggi assai mossi, secondo stilemi che, pur dovuti probabilmente a una mano differente, ma affine, si notano anche nel Corali 17.A.136, e che non si allontanano poi troppo, a ben guardare, dalle scelte della coppia  17.A.132 e 17.A.133; il contesto formale è quello della via Emilia negli anni tra ’50 e ’60 del XV secolo, da rapportare ad alcuni interventi miniati dei grandi cicli parmigiani, in una circolazione di modi che non poteva non essere rafforzata dalla contiguità territoriale (pur se le due città appartenevano a contesti statuali diversi); in particolare, non mi pare lontana da questo esempio reggiano, pur se certo di altra mano, ben più scaltra, gran parte della decorazione del graduale R del Convento della SS. Annunziata di Parma, datato 1458 e firmato per la parte scrittoria da quel Giovanni da Perugia che conosciamo attivo anche a Reggio Emilia (Zanichelli 1994a, pp. 12-14, 98-100; Zanichelli 2000, p. 33): pur se vanno sempre mantenute ben distinte le professionalità che danno vita a un volume completo, è tuttavia da notare che, specie nel caso di commissioni monastiche, o comunque di complessi religiosi, la costituzione di équipe, quasi sempre itineranti su circuiti più o meno ampi, poteva veicolare con facilità sia la presenza fisica di maestranze, sia la circolazione di scelte stilistiche o di motivi repertoriali. L’altra mano appare più scadente: ad essa vanno riferite le ultime tre iniziali figurate, condotte in modo ben più sommario e con caratterizzazioni somatiche non frequenti e tipiche (le palpebre spesse e rigonfie, l’espressione sdegnosa e corrucciata); in ogni caso, i due decoratori appartenevano senz’altro alla stessa bottega, che si può ipotizzare attiva in questo tomo attorno al 1460-1465. Non sono presenti iniziali decorate, fatto non del tutto comune.

Corali 17.A.136

Antifonario Comune e Proprio dei Santi, [1460-1465 ca.]


F (Factum) con San Michele – c. 173v

Il volume fa senza dubbio coppia col precedente Corali 17.A.135, mentre più incerta è l’appartenenza a una medesima serie di questi due tomi e dei Corali 17.A.132  e 17.A.133.
Sono presenti nel codice tre gruppi stilistici: un primo miniatore, più elevato qualitativamente, eseguì le iniziali delle cc. 149 e 173; siamo in un ambito raffinatamente tardogotico, lo stesso dei Corali 17.A.132 e 17.A.133, anche se a livelli formali migliori: si potrebbe forse avanzare l’ipotesi che si tratti dello stesso artista, o almeno di un altro esponente della stessa bottega, a date lievemente successive, che gli permisero di affinare la sua tecnica e di rimeditare con maggior successo i suoi precedenti lombardi; il contesto geografico che si può prendere a esempio, come detto (cfr. Corali 17.A.132 e 17.A.133), è quello padano tra bassa Lombardia ed Emilia occidentale, con riferimenti più cogenti per l’area cremonese dei Bembo; la scena con le Marie al sepolcro, c. 105r, è di altra mano, che appartiene comunque al medesimo contesto, ed è quasi certamente la stessa della scena di c. 108v del Coralli17.A.133.
A un secondo gruppo, non alternativo stilisticamente, ma ben più corposo e massiccio, e meno raffinato, spettano le iniziali delle cc. 2r e 118v; oltre all’esame stilistico, la scelta di porre in lontananza, a chiudere la scena (se non prospetticamente, almeno con spaziale empiricità), una sorta di recinto di canne, lo dovrebbe identificare con l’autore del ritaglio 36 del Museo Lia di La Spezia (Miniature. La Spezia, Museo Civico 1996, pp. 162-165), che sarà anzi, credo, da far coincidere con la miniatura asportata in questo volume a c. 43, considerando il soggetto mostrato dal cutting, un San Prospero, come appunto previsto dal testo, e la compatibilità delle dimensioni, in un manufatto adattato comunque da rifilature; pur nel differente trattamento del modellato, più massiccio, anche in questo decoratore si nota un contatto col contesto dei volumi 17.A.132 e 17.A.133, e con le tre iniziali del primo gruppo stilistico in questo stesso tomo: a rafforzare l’ipotesi che si tratti di una serie unitaria, così come suggerito – già lo si è detto – dall’esame della liturgia; riprendendo in due righe il discorso del motivo repertoriale a canne intrecciate, giova ricordare che lo si ritrova anche nel Corali 17.A.132, c. 4r, mentre gli alberi versi puntinati d’oro a chiudere il fondo sono nel ritaglio Lia gli stessi della scena di questo stesso volume con San Michele; i rapporti col contesto bolognese di Giovanni da Modena e di Michele di Matteo (e ancor più quelli con l’ambito modenese degli Erri), di recente messi in campo per il frammento spezzino, non mi trovano concorde, se non a livello assai generico di temperatura tardogotica.
La scena di c. 16r, priva di figure, credo vada data ad un’altra mano, come forse da riferire a un’ulteriore, distinta personalità (appartenente allo stesso contesto formale, ed evidentemente a una stessa, composita bottega) è quella di c. 157r; vicina al secondo gruppo stilistico del tomo, ma non esattamente sovrapponibile è l’iniziale di c. 83r.
Santi Pietro e Paolo, c. 66r, mi sembrano opera di un differente decoratore, che si avvicina al primo miniatore del Corali 17.A.135, e quindi alla coppia 17.A.132 e 17.A.133; l’affinità col maestro attivo nel già citato graduale R del Convento della SS. Annunziata di Parma, datato 1458 è ancora più scoperta (cfr. Zanichelli 1994a, fig. 11): anche se non può essere spinta all’identità di mano, ciò può valere di certo come termine assai indicativo per la datazione di questo corale della Biblioteca Panizzi, da porre come il suo gemello attorno al 1460-1465, come aggiornamento successivo della stessa bottega della coppia 17.A.132 e 17.A.133.

Corali 17.A.138

Graduale del Tempo dalla prima domenica di Avvento alla terza domenica in Quadragesima, [1464]


P (Puer) con Natività – c. 43r

Questo graduale faceva parte della stessa serie degli attuali Corali 17.A.139 (col quale, in effetti, costituiva un unico volume, scisso nel secolo XVIII: non è quindi corretta l’affermazione riportata in certa bibliografia che il presente corale fosse in origine un pezzo unico con l’altro corale 17.A.143), 17.A.14117.A.143 e 17.A.154, su cui vedi quanto detto nella scheda del volume Corali 17.A.134. Il volume non è, stricto sensu, datato: l’anno 1464 si ricava da una nota contenuta nel Corali 17.A.139, ultima carta (“Questo Graduale fu scritto nel 1464 in un sol tomo. Fu poi diviso per la troppa grossezza in due tomi nel 1700 e restaurato da P. Angelo da Modena per ordine del P.M.R. Luigi della Mirandola Guardiano nel 1779”).
L’unica iniziale figurata presente nel corale si rivela assai deludente ed esemplificazione di un gusto, in questo tratto di tempo, estremamente ritardatario; data la debolezza esecutiva, che è palesata soprattutto dagli spessi contorni neri che avvolgono le figure, è assai difficile dare conto dei possibili precedenti figurativi; “lo spazio sembra essere troppo ristretto per il massiccio gruppo della Sacra Famiglia, addossato quasi per contrasto alla stilizzata capanna di assi giallastre dalle nere venature in evidenza […] l’ingenuità con la quale è costruito lo spazio rappresentato e la convenzionalità di alcuni elementi […] si affiancano tuttavia ad una saldezza della composizione, ad una piena resa del volume nella figura della Madonna” (Righi 1986-1987, pp. 12-13). È assai probabile si possa trattare di un decoratore locale, che non si avvicina però né al contesto rinascimentale ferrarese né agli esiti ultimi del tardogotico lombardo, e preferisce assestarsi su scelte formali indefinite, senza basarsi su precedenti stilisticamente identificabili e rapportabili a un contesto territoriale preciso.

Corali 17.A.140

Antifonario Proprio dei santi dalla festa di Santa Maria ad Nives a Santa Cecilia, [1460-1470 ca.]


S (Sancta) con Madonna col bambino – c. 1r

L’antifonario contiene il Temporale dalla Pasqua all’Avvento, e fece parte senz’altro della serie cui appartiene la maggioranza dei corali ora conservati alla Biblioteca Panizzi: commissionati dai minori osservanti di Santo Spirito, e poi pervenuti alla Basilica della Beata Vergine della Ghiara, da cui – in seguito alle soppressioni – passarono alla biblioteca.
Nel volume non sono presenti, fatto abbastanza anomalo, iniziali decorate, e l’unica sezione a pennello è l’incipitaria figurata, una Madonna col Bambino, del frontespizio. Questo intervento è stato di recente riferito dal Medica a Bartolomeo del Tintore (Medica 1997, p. 73 n. 26), un miniatore di impianto solido e prospettico, che almeno dal 1459 è con certezza attivo a Bologna, dove in quell’anno è documentato realizzare la decorazione degli Statuti della Società dei Notai (Bologna, Archivio di Stato, Società dei Notai, Statuti, reg. 7: cfr. Haec sunt statuta 1999, pp. 164-165, Medica). L’attribuzione a questo artista del corale della Panizzi, pur non supportata da alcun documento, appare stilisticamente del tutto coerente, ed è dunque pienamente condivisibile (cfr. anche le osservazioni di Zanichelli 2000, pp. 34-35).
La formazione di Bartolomeo potrebbe essere partita dalla visione delle opere del grande pittore di Sansepolcro, visibili a Ferrara ma anche a Bologna, dal momento che sappiamo da Luca Pacioli di un’attività di Piero della Francesca in zona felsinea, anche se nulla ci è noto riguardo alla localizzazione né all’entità dei lavori da lui eseguiti (per quanto concerne invece la loro cronologia, sarà da porre agli inizi del sesto decennio del secolo XV, se la leghiamo – come appare logico – alle altre tappe emiliane e romagnole dell’artista). Il nostro miniatore non mancò poi, mi pare, di trarre spunto da Marco Zoppo, tornato in zona emiliana dopo un soggiorno padovano assai fruttifero, e che pure mostra in questi stessi anni una facies, appunto, pierfrancescana, per esempio nella croce del Museo dei Cappuccini di Bologna. Altre opere di Bartolomeo del Tintore, un artista che sovrappose questi spunti rinascimentali a un suo substrato più o meno coscientemente tardogotico (come peraltro del tutto normale a Bologna a queste date), sono state a lui attribuite dal Medica, secondo una lettura della sua figura del tutto condivisibile: gli Statuti del Comune di Bologna, dalla data precoce 1454 (Statuti del Comune, Bologna, Archivio di Stato, Comune-Governo, Statuti, vol. XVII: Haec sunt statuta 1999, pp. 104-105, Medica), che farebbe allora arretrare il debutto del miniatore, il Rotulo degli artisti del 1459, i petrarcheschi Trionfi, ms. 151 della Biblioteca Casanatense di Roma, eseguiti per la famiglia bolognese Zambeccari, e il ms. Canon. It. 153 della Bodleian Library di Oxford (Medica 1997, pp. 70-71, 73 n. 26). Un’operosità incentrata su Bologna, ma anche, come ha dimostrato Daniele Guernelli (Guernelli 2009a, p. 70), su Ferrara e Modena, luogo quest’ultimo dove forse il miniatore ricevette la commissione reggiana.

Corali 17.A.141

Graduale del Tempo dalla Pasqua all’Avvento, [1458-1465 ca.]


D (Dum) – c. 81r

Anche questo volume faceva parte della serie francescana passata poi alla Basilica della Beata Vergine della Ghiara, e infine pervenuta alla Biblioteca Panizzi in seguito alle soppressioni. Il programma decorativo appare particolarmente ricco, con ben quarantasei iniziali decorate di un tipo che combina elementi di tradizione tardogotica a qualche spunto legato all’ambito rinascimentale ferrarese, dovute alla mano di un decoratore che non sembra ritrovarsi altrove nel ciclo (questa duplicità di impostazione, che deriva anche da questioni di geografia culturale, si ritrova costantemente negli ornati dei codici collegati alla serie, come questa, trascritta da Giovanni Coppo da Perugia).
L’unica iniziale figurata, invece, è opera con ogni probabilità di un miniatore locale, il cui stile si dimostra un po’ attardato rispetto alle grandi novità estensi di tipo rinascimentale, e che appare invece inseribile pienamente in quel contesto tardogotico parmigiano derivato dal “Maestro del corale T” del Convento della SS. Annunziata (Zanichelli 1994a, pp. 10-12, 96-98; Zanichelli 2000, pp. 32-33, 40 nn. 46, 50). Se si confrontano le due scene con il Cristo risorgente, quella del presente volume e quella sul frontespizio del graduale T del convento parmigiano (Zanichelli 1994a, figg. 1-2), appare evidente il ricalco, con ben poche modifiche, della struttura iconografica: dalla tipologia della tomba, al paesaggio puntutamente roccioso, agli alberini conici; lo squilibrio qualitativo, peraltro, è ben avvertibile, e si risolve tutto a sfavore del tomo reggiano. Mi pare che allora si possa ipotizzare una situazione di questo tipo: l’autore del corale T di Parma costituì in zona – grazie alla sua squisita temperatura formale – il modello cui uniformarsi, grazie alla dispersione sul territorio, nella stessa città, a Reggio, e forse altrove, di personalità da lui dipendenti in toto, pur se certo non alla sua altezza; tale processo fu incentivato, se non addirittura determinato, da circolazioni di intere botteghe, dove ebbe gran parte il ruolo di copisti come il già citato Coppo (cfr. Zanichelli 2000); tutto questo avviene negli anni tra la fine del sesto decennio del secolo XV e la metà del decennio successivo, con personaggi come alcuni dei decoratori attivi nei volumi della Panizzi (oltre al presente, i Corali 17.A.135 e 17.A.136 soprattutto) e il “Maestro del corale R” dell’Annunziata, pur se riscontriamo suoi ricalchi anche a date ben più avanzate (per certi versi, come già è stato detto, pure nel “Maestro del corale K” della stessa Annunziata, alias il “Maestro del libro d’ore Sanvitale”: cfr. Zanichelli 1994b; Zanichelli 1995).
Pur dall’andamento assai simile, non mi pare possa spettare allo stesso autore (ma a un altro certo del tutto affine) l’intervento del volume Corali 17.A.154.

Corali 17.A.142

Graduale del Tempo dalla Domenica delle Palme alla Domenica XVII post Pentecoste, [1500-1510 ca.]


M (Miserere) – c. 188v

Il presente corale appare slegato dal contesto di una serie omogenea, e non è possibile imparentarlo dal punto di vista testuale e liturgico con nessun altro presente alla Biblioteca Panizzi (ma si cfr. più avanti in questa stessa scheda per una possibile provenienza dalla Cattedrale). L’unica iniziale figurata mostra subito la sua pertinenza al contesto bolognese a cavallo tra la fine del ’400 e l’inizio del ’500: troviamo, pur filtrati da un sensibilità assai differente, richiami precisi e diretti al repertorio di Martino da Modena (attivo in numerosi volumi singoli o cicli liturgici: a Reggio col Messale ora alla Biblioteca Palatina di Parma, ms. 851, a Bologna per il ciclo di San Petronio lasciato interrotto dal Crivelli, a Parma per San Giovanni Evangelista e a Modena per San Pietro: Miniatura a Ferrara 1998, rispettivamente alle pp. 236-238, Zanichelli; 240-241, Benati; 241-247, Zanichelli; 238-239, 247-248, D’Urso), un trattamento ormai “classico” della stesura cromatica, con evidenti richiami alla tradizione felsinea bentivolesca dei giovani Costa e Francia, ma – più ancora – è evidente la riproposizione del medesimo repertorio diffuso in città da Giovanni Battista Cavalletto e dalla sua bottega.
Giovanni Battista è attivo già dagli anni ’80 del secolo XV, e avrà poi una lunga carriera che si spingerà ben avanti nel XVI secolo, e lo porterà anche a Roma: se ne vogliamo seguire alcune tappe fondamentali, abbiamo già negli anni 1486-1487 pagamenti per suoi lavori in San Petronio, che la Bauer-Eberhardt identifica nel fregio applicato all’attuale ms. 100 del Museo della Basilica, poi altri corali per lo stesso complesso bolognese (XIV-88, XV-89 e XII-99, pure conservati nel medesimo museo), da porre all’inizio degli anni ’10 del ’500, la serie cotignolese per il vescovo Rinaldo Graziani, del 1518, e alcuni volumi di statuti e matricole, sia per Compagnie che per lo Studio; inoltre, si è voluto tentare una sua identificazione per due interventi sinora anonimi, ma di grande rilevanza e amplissima notorietà nella bibliografia della miniatura tra XV e XVI secolo: la cosiddetta “terza mano” di due dei volumi coordinati da Matteo da Milano per gli Este nel primo decennio del ’500 (il Breviario di Ercole I, ms. V.G.11 = Lat. 424 della Biblioteca Estense Universitaria di Modena, e il Messale di Ippolito, ms. 43 della Universitätsbibliothek di Innsbruck: Bauer-Eberhardt 1993, pp. 63-67; Miniatura a Ferrara 1998, pp. 195-205, Alexander) e l’artista che affianca ancora lo stesso Matteo nel suo ben più tardo Messale per Giulio de’ Medici (1520, ms. 78.D.17 del Kupferstichkabinett di Berlino: cfr. Bauer-Eberhardt 1993, p. 70); molti problemi connessi alla sua attività, peraltro, rimangono aperti, anche in relazione alla operatività della sua complessa bottega, di cui sicuramente facevano parte il figlio Scipione, Bartolomeo Bossi (e non Bassi, come si credeva fino a qualche anno fa), e altri collaboratori, i cui cataloghi sono stati di recente oggetto di disamina e frequenti revisioni (su tutti questi problemi, inclusa la definizione della complessa bottega cavallettiana, cfr. ora Giovanni Battista Cavalletto 2008 e Guernelli 2011, con tutta la bibliografia precedente).
Le splendide iniziali decorate, e i fregi, del corale della Panizzi – l’abbiamo già detto – sono del tutto simili, anzi, pressoché sovrapponibili a quelle impiegate in questa valida e prolifica officina libraria, nell’impiego di mascheroni grotteschi, elementi a candelabra, castoni di gemme, che si stagliano netti sul fondo in foglia d’oro, su modulo quadrangolare; proprio questi sono i momenti più elevati del presente volume, evidentemente opera di un maestro che si era specializzato in questo repertorio e più a disagio nelle parti figurate della non eccelsa Resurrezione, dipendente ancora come abbiamo visto dal repertorio di Martino da Modena (pur se certo aggiornata sulle cose bolognesi a cavallo del secolo). Il volume reggiano si avvicina particolarmente alle sezioni non figurate nei corali petroniani, ma anche a quelli di Bagnacavallo. È interessante, comunque, la presenza sia nel pezzo reggiano che nel ciclo bagnacavallese di numerose incipitarie a inchiostro, che mostrano un identico repertorio, di elevatissima qualità: indizio per una più che probabile attività specializzata “de penna”, da calligrafo, di qualche membro della bottega. Allo stato attuale delle conoscenze, appare difficile precisare, all’interno della bottega cavallettiana, un nome preciso, che non può più essere quello che si era proposto di Scipione Cavalletto (Lollini 2002, pp. 104-107).
La cronologia dovrebbe assestarsi più avanti rispetto a quanto avessi proposto in un mio primo intervento, forse sul primo decennio del XVI secolo; dal punto di vista della committenza, è da notare che la stessa mano attiva in questo dovrebbe tornare nelle aggiunte al Corali 17.A.144, di certo eseguito per la Cattedrale reggiana, a indicare un’analoga provenienza anche per questo pezzo.


Corali 17.A.143

Graduale Proprio e Comune dei Santi, [1460-1465 ca.], inc. “Dominus secum”, exp. “dono veterum”


M (Michi) – c. 92v

Le cinque iniziali decorate di questo volume, di ottima qualità e di pertinenza al repertorio ferrarese rinascimentale, nella sua specifica versione più disegnata, e mescolata con accenti ancora nettamente appartenenti al contesto tardogotico, come in tutta l’Emilia occidentale, vanno date con ogni probabilità alla stessa mano che eseguì le incipitarie al volume Corali 17.A.138, che faceva parte della medesima serie. Contrariamente a quanto detto in alcuni interventi bibliografici, non questo Corali 17.A.143, ma l’altro volume della Biblioteca Panizzi, Corali 17.A.139, privo di decorazione a pennello (e quindi non censito in questa sede), era in origine tutt’uno col Corali 17.A.138.

Corali 17.A.144

Antifonario Proprio dei Santi, [1450-1510 ca.]


B (Benedicat) con Trinità – c. 4v

Il volume proviene da una serie scompleta, contenente l’intero ciclo del graduale che, secondo quanto risulta presso l’attuale sede conservativa, apparteneva alla Cattedrale di Reggio, da cui fu forse anche commissionato. L’immagine figurata di c. 67v è di difficile interpretazione iconografica: il testo è un pezzo liturgico mariano, e come tale potrebbe suggerire un’Annunciazione, ma d’altra parte in questo caso mancherebbe la rappresentazione della Vergine, fatto strano e anzi – credo – unico; inoltre, il personaggio che appare in volo, assai danneggiato nel suo stato di conservazione, pare femminile. Meglio forse, allora, ripiegare sul soggetto, comunque non comune, che avevo già proposto in altra sede e che in questa scheda ribadisco.
A parte la scena della c. 82v, palesemente più tarda e aggiunta su fascicolo a sé stante, le altre cinque iniziali figurate si ascrivono a una medesima bottega, le cui mani sono difficili da discernere, dal momento che basano tutte le loro scelte stilistiche su una cultura che tenta di fondere, a date abbastanza precoci che preciseremo tra poco, la cultura tardogotica della zona, fondata su stilemi tardogotici lombardi, con un occhio alla cultura bolognese di primo ’400, con istanze più moderne, derivate dalla prima attività degli artisti estensi della generazione del Messale di Borso. In un primo momento, avevo tentato di distinguere tre diverse mani: la prima, più incline a modellarsi sulla scia di Giorgio d’Alemagna, e quindi più “moderna”, mi pareva l’autrice della sola Trinità, una seconda, più attardata, avevo ipotizzato fosse responsabile delle tre scene delle cc. 45r, 67v e 97r, lasciando alla terza, più squisitamente improntata a opzioni di tipo tardogotico lombardo, la sola, celebre raffigurazione di San Martino. In effetti, è forse meglio suddividere le operatività in modo lievemente differente, avvertendo che sono comunque possibili, come in ogni bottega, sovrapposizioni operative: al miniatore della Trinità, legato al vecchio stile ma aggiornato come detto su prototipi estensi affini a Giorgio d’Alemagna (e fors’anche al primo Crivelli), potrebbe riferirsi pure la scena con la Visitazione, dove ritroviamo analoghe scelte di ductus, marcato e spesso, nei visi, definiti assai nettamente; a un secondo artista, meno attento a seguire gli sviluppi della decorazione libraria più moderna, rimarrebbero allora le rappresentazioni con La Madonna appare presso una chiesa [?], e la Dedicazione di una chiesa, senza dubbio: mentre è possibile che sia da riferire a questa stessa mano la ricca pagina con San Martino. In questa immagine, l’unica – forse – giustamente celebre tra le miniature della Biblioteca Panizzi, si reperisce infatti una temperatura formale non difforme, e la maggiore qualità – anche a prescindere dall’uso dell’oro così abbondante – indicherebbe allora non un distinto autore ma una più controllata e aulica operatività. Sono sempre validi i riferimenti a un contesto affine a quello dei migliori maestri parmigiani, come quello del corale T del Convento della SS. Annunziata (Zanichelli 1994a, pp. 10-12, 96-98) che trasceglie dal contesto del gotico maturo i suoi referenti, con una certa affinità con l’ormai lontanissimo “Maestro delle Iniziali di Bruxelles” che si ritrova anche nel corale della Panizzi; il gioco dei putti che si divertono a nascondersi tra gli elementi costitutivi dell’iniziale, e gli elegantissimi uccelli, sono in questo senso del tutto significativi, anche se nel tomo reggiano realizzati certo con minore maestria. La data 1458 del volume parmense può dunque costituire un valido punto fermo anche per il nostro graduale, dando così emblematicamente conto di quel momento di passaggio tra tardogotico e rinascimento, che si situa a date diverse pure in contesti territorialmente non troppo distanti (pensiamo alla situazione ferrarese, emblema d’aggiornamento, o al tradizionalismo di Milano e ancor più di altre città lombarde, quasi reazionario).
La Trasfigurazione, aggiunta più tardi assieme all’intero fascicolo su cui è miniata (dove si ritrovano anche due iniziali solo decorate da riferire alla stessa mano) appare eseguita quasi sicuramente dallo stesso autore che fu responsabile, ma questa volta in toto, dell’altro graduale 17.A.142, e comunque da dare al contesto bolognese tra fine XV e inizio XVI secolo (più precisamente, e in modo più realistico, già tra 1500 e 1510) legato all’operatività della bottega di Giovanni Battista Cavalletto. Ciò implicherebbe due dati rilevanti. Il primo è la provenienza di quest’ultimo corale da quella stessa Cattedrale da cui proviene il presente volume (il miniatore che lo produce si accollò evidentemente anche l’impegno di aggiornare l’altro). L’altro è la realizzazione della rimanente parte di questo 17.A.144 in un periodo non troppo lontano dal quel 1457 in cui fu istituzionalizzata la festività della Trasfigurazione, celebrata (e protagonista di tante immagini sacre) già nel Medioevo, ma non ufficialmente entrata con questa rilevanza nei calendari liturgici fino a quando non vi venne inserita da Callisto III: se non vero e proprio ante quem, come avevo accennato – esagerando – in un primo tempo (qualche tempo di scarto è sempre possibile), almeno termine cronologico di confronto che tende a coincidere coi dati stilistici prima accennati; certo, il fatto che si sia posto rimedio alla lacuna solo dopo mezzo secolo lascia un po’ perplessi, ma una posticipazione a date più avanzate del grosso del volume non contribuirebbe a risolvere il problema.

Corali 17.A.145

Antifonario Proprio dei Santi, [1460-1470 ca.]


U (Unus) – c. 1r

L’unica iniziale decorata del volume, di impianto rinascimentale ferrarese, è da riferire probabilmente al decoratore che eseguì il programma di incipitarie non figurate del 17.A.134, forse la stessa mano che nel volume ora 17.A.140 credo realizzi il corpo della sola lettera lì eseguita a pennello, che ospita la scena realizzata da Bartolomeo del Tintore. Questo volume fa parte, insieme ad altri della Biblioteca Panizzi, della serie eseguita per il convento dei minori osservanti di Santo Spirito in Reggio Emilia, e poi pervenuta ai Serviti della Basilica della Beata Vergine della Ghiara.

Corali 17.A.146

Graduale del Tempo dalla prima Domenica di Avvento alla terza Domenica di Quaresima, Reggio Emilia, [1480-1490 ca.], inc. “Ad te levavi”, exp. “secula secu-”


P (Populus) – c. 3v

Questo corale presenta tre iniziali figurate, di qualità non troppo sostenuta, che mostrano però una combinazione interessante tra stilemi derivati dai miniatori ferraresi rinascimentali, e un substrato ancora tardogotico, di derivazione lombarda ma diffuso anche nella vicina Parma, che causa una difficile assimilazione delle nuove tendenze “moderne”, evidente nell’imbarazzo nelle rese dei volti, nella scansione dei differenti piani prospettici del paesaggio, e in altre ingenuità. Con una tenuta stilistica meno forte, una situazione che, in aree prossime, trova buoni confronti: in particolare, il maestro del nostro volume è affine al decoratore che per il Convento della SS. Annunziata di Parma esegue i corali A, P e K, e cioè il “Maestro del libro d’ore Sanvitale”, certo, senza quell’autoconsapevolezza nelle scelte formali che credo contraddistingua, seguendo in questo mio giudizio la lettura che ne hanno dato in più momenti gli studi precedenti sull’argomento, quest’ultimo autore (Zanichelli 1994b; Zanichelli 1995). Per quanto concerne la cronologia del corale della Biblioteca Panizzi, è difficile pronunciarsi su un manufatto comunque “ritardatario”: si può pensare a un’assimilazione difficoltosa, per i motivi accennati legati a un milieu ancora tardogotico, ma quasi immediata, di un referente ferrarese come Giraldi, nella fase in cui si dedica – assieme alla bottega – alla Bibbia, ma soprattutto ai corali della Certosa: e allora si potrebbe collocare questo maestro tra la fine degli anni ’70 e la prima metà del nono decennio del secolo XV; o immaginare uno sviluppo derivato da Cosmè Tura, parallelo a quello di Martino da Modena (cui si apparentano, specie iconograficamente, alcune scene di questo volume) o in seguito dell’Argenta (Miniatura a Ferrara 1998, pp. 269-287, Giovannucci Vigi, Benetazzo), certo meno sostenuto qualitativamente: e allora saremmo nel pieno degli anni ’80, o verso la loro fine; oppure, ancora, leggerlo come invece derivato dall’autore della gran parte dei corali del Duomo ferrarese (cui comunque lo legano molte scelte, non solo repertoriali): e si scivolerebbe ancora più in avanti. Meglio stare, credo, nel mezzo: e una datazione poco prima, o poco dopo, il 1485 – poco più tardi di quanto avessi pensato in un primo momento – mi pare possa essere coerente, anche in rapporto alla struttura impaginativa del frontespizio, con un fregio di impronta ferrarese, riquadrato e con inserti figurati, di qualità migliore che non le scene delle iniziali (si tratta allora di un maestro specializzato nelle parti accessorie della decorazione, qui alle prese con un incarico che gli imponeva di eseguire da solo tutto il programma?); e ancor più valide appaiono le iniziali solo decorate: ben trentotto, si apparentano strettamente alle scelte estensi rinascimentali, e derivano il loro repertorio da quello ferrarese dell’ottavo decennio del XV secolo, soprattutto dal già citato Guglielmo Giraldi e dalla sua bottega.

Corali 17.A.150

Antifonario del Tempo dal Sabato post octavam Epiphaniae al sabato Santo, [1460-1470 ca.]


S (Suscepit) – c. 1r

D (Domine) – c. 1r

Il corale mostra due soli interventi a pennello, le iniziali decorate presenti accoppiate sul frontespizio; condotte su prototipi fogliacei di ambito rinascimentale ferrarese, con apporti tardogotici, appaiono quasi identiche a quelle presenti in altri volumi della Biblioteca Panizzi (Corali 17.A.13417.A.14017.A.145), e si possono quindi riferire con una buona dose di attendibilità alla mano del medesimo decoratore, o di un suo stretto affine.
Come già ripetuto, i codici dovevano in ogni caso far parte della stessa serie liturgica.

Corali 17.A.151

Antifonario del Tempo dall’Avvento all’ottava Epiphaniae, 1464


A (Aspitiens) – c. 1v


E (Ecce) con Annunciazione – c. 1r

Il presente volume faceva parte di una serie con l’antifonario completo, assieme ai Corali 17.A.134, 17.A.137,  17.A.140, 17.A.145 e 17.A.150, realizzata verso la metà degli anni ’60 del secolo XV, come si evince appunto dalla sottoscrizione del pezzo, trascritto da Giovanni Coppo (Zanichelli 2000, passim).
Come l’unico altro volume del ciclo che mostri un intervento figurato, il Corali 17.A.140, anche questo appartiene al medesimo contesto stilistico, quello felsineo degli anni ’60 del XV secolo influenzato da molteplici presenze “moderne” di tipo rinascimentale. Nello specifico, anche in questo caso, come in quello appena citato, è stato operato – dapprima in forma lievemente più dubitativa – un riferimento a Bartolomeo del Tintore, che è da condividere. Nel rimandare qui alla scheda del Corali 17.A.140 per un tracciato sull’artista, è però da notare che, in effetti, come già da altri riconosciuto (Zanichelli 2000, p. 35), l’intervento di questo volume va dato a un artista diverso da Bartolomeo, pur se suo stretto affine; più in particolare, l’autore è l’anonimo miniatore che realizza l’unico intervento figurato, un’Entrata a Gerusalemme, di un’altra serie che vede come protagonista scrittorio Giovanni Coppo, quella di Mirandola (Mirandola, Biblioteca Civica, ms. B, c. 1r), a contribuire ancor più all’impressione di una fittissima circolazione in tutta l’Emilia occidentale di botteghe itineranti in cui copisti e artisti di pennello viaggiavano affiancati, creando associazioni più o meno stabili, magari in rapporto con le esigenze della committenza (Zanichelli 2000, pp. 34-35).
A questo punto, si può solo evidenziare che, se non mi sembra più possibile l’identità di mano tra la Madonna col Bambino, sul frontespizio del corale 17.A.140, e questa Annunciazione, secondo una lettura che altri invece potranno comunque riprendere, è allora forse legittimo ipotizzare, quanto ai corpi delle lettere che contengono questi due interventi figurati, che spettino entrambi allo stesso miniatore, e cioè al seguace di Bartolomeo, qui responsabile del programma a pennello in toto, forse allora una delle mani che hanno realizzato le incipitarie solo decorate di altri pezzi della serie.

Corali 17.A.153

Innario per totum annum, 1449-1782, con aggiunte e rifacimenti del sec. XVIII


D (Dixit) con Dio Padre, con fregio a fiori ed elementi vegetali con cerchietti dorati sui margini interno, superiore e inferiore – c. 34r

La divisione operativa tra le diverse professionalità che danno vita al prodotto finale “codice miniato” dal basso medioevo in poi è ormai abbondantemente studiata: copista, calligrafo, miniatore; ma alcuni casi specifici meritano una particolare considerazione, o in virtù della qualità stilistica che palesano, o in quanto esempi significativi di contingenze storiche o culturali di grande momento. Può rientrare in quest’ultima categoria – se la vogliamo applicare al contesto della circolazione di artefici lombardi in zona emiliana nel periodo di trapasso tra gotico e rinascimento – il caso di Guiniforte da Vimercate, da gran tempo ben noto alle bibliografie: già a cavallo tra XIX e XX secolo era stata segnalata la connotazione lombarda delle miniature di almeno due tra i volumi olivetani delle serie liturgiche conservate a Ferrara a Palazzo Schifanoia, collegandola senza dubbi a tre firme del personaggio che abbiamo appena citato, ben evidenti sui manoscritti. A ben guardare, però, già questa prima testimonianza doveva suscitare qualche sospetto, dal momento che entrambe le sottoscrizioni, dal testo analogo ma non identico, compaiono non entro le scene miniate, o i bordi a pennello, o in loro prossimità, bensì inserite in bei capilettera a inchiostro di raffinata fattura da calligrafo; per il graduale N, alla c. Iv in una A, “Guinifortus de Vicomerchato mediolanensis hoc opus miniavit anno domini 1449 die primo decembris”; per il graduale L, alla c. 29v in una I, “Guinifortus de Mediolano 1449”, e in un fregio a penna che prosegue una A “Ego enim sum minimus omnium miniatorum Guinifortus de Vicomerchato mediolanensis 1449 aug[usti]”. A questi due pezzi, per così dire, ormai storicizzati si è potuta poi aggiungere un’altra coppia, già da tempo resa nota – peraltro – ma spesso sottaciuta dalla bibliografia. Il primo esempio è appunto questo della c. 1r del corale 17.A.153 della Biblioteca Panizzi, proveniente dal locale convento della Beata Vergine della Ghiara ma eseguito, ab antiquo, per un’entità francescana: nella I a inchiostro, la scritta recita stavolta “Guini[forti de Vico]mercato hoc opus [est] anno domini MCCCCXLVIIII […] minimus […]”. Si termina infine con il “Guinifortis de Vicomerchato mediolanensis 1449” che troviamo, in una splendida L ancora una volta “de penna”, alla c. 18v del corale 547 del Museo Civico Medievale di Bologna (Lollini 1989, pp. 28, 34 n. 63, 66 n. 35, con bibliografia; Lollini 1994, pp. 117-118, 135 n. 25).
Come ho già avuto modo di scrivere, è per lo meno un po’ incongruo che si perpetui ancora per Guiniforte la definizione di miniatore in senso moderno, mentre mi pare decisamente logico che un artista “de pennello” non si sarebbe mai sottoscritto, e con tanta frequenza, in una parte accessoria della decorazione (e se “minimus”, cioè, “il meno importante”, non si fosse una vera o retorica dichiarazione generale di autodisistima di Guiniforte, ma si riferisse proprio al suo ruolo nella bottega?); tra l’altro, proprio di recente è stato reso noto agli studiosi un interessantissimo codice appartenente alla Lilly Library dell’Indiana University di Bloomington, il ms. Ricketts 240, un opuscolo di 19 carte tutte occupate da motivi calligrafici a inchiostro, che costituiva certo il repertorio, o uno dei repertori, del nostro decoratore (cui si devono però solo alcune pagine del manoscritto statunitense); anche qui, Guiniforte si sottoscrive alla c. 13r “Guinifortus de Vicomerchato mediolanensis fecit hoc opus 1450 die primo aug[usti]” (Painted page 1994, p. 213). “Miniator”, per Guiniforte, vale ancora nel suo senso etimologico di “distributore di minio”, evidenziatore a penna e inchiostro colorato di lettere incipitarie, o più raramente di interi bordi, in cui entrano anche raffinati contrasti cromatici sfumati in giallino e verde chiaro, con un repertorio improntato, sembra, a motivi derivati dal mondo gotico (e non penso solo alla decorazione libraria ma anche all’oreficeria, alla scultura e alla decorazione architettonica); che poi si potesse dedicare anche a lavori di pennello, non è possibile escluderlo a priori, come in modo un po’ troppo drastico ho scritto altrove, ma neppure affermarlo sulla base del benché minimo dato certo. Il problema che si pone per noi, allora, è un altro, e duplice: accettare ai nostri tempi un’operosità così frenetica, che nel medesimo anno lo conduce in tre diverse città – pur vicine; e chiarire se al suo traino, o a quello di artigiani come lui, potessero pervenire dalla medesima area geografica maestranze specializzate in figurazioni miniate “de pennello”. Il fraintendimento relativo a Guiniforte, se pur con ogni probabilità (almeno a mio parere) errato per le ragioni appena esposte, trova una sua pur parziale giustificazione nella constatazione che i pezzi appartenenti alle presunte serie di Reggio Emilia, Bologna e Ferrara presentano miniature in cui è evidente la componente stilistica lombarda, non sappiamo se diretta o derivata, ed è presente un’identità – o almeno un vicinanza – di mani. L’assunto di partenza è dunque questo: posto che la responsabilità del vimercatese credo vada limitata all’esecuzione delle splendide iniziali filigranate, le scene a pennello presenti sui volumi che esamineremo sembrano opera, più che di un solo autore, di un’équipe, a lui legata: condividevano con Guiniforte, oltre che il lavoro, anche l’origine? o l’itinerarietà? si potrebbe pensare invece a decoratori emiliani recuperati sul campo: già anni fa, riferivo per esempio, senza approfondire troppo il discorso e non collegandola agli altri volumi della ’questione Guiniforte’ (di cui pure parlavo e molto parzialmente pubblicavo), a “Miniatore bolognese (?) attorno il 1450” un’immagine del corale 547 di Bologna, dello stesso autore del volume della Panizzi (Lollini 1989, fig. a p. 30). 
Partendo da Reggio Emilia, tra i corali conservati alla Biblioteca Panizzi, l’unico che possa rientrare nel discorso del tardogotico lombardo degli anni tra ’40 e ’50 del secolo XV è appunto questo Corali 17.A.153 firmato da Guiniforte. Le sue sette iniziali figurate (due pressoché illeggibili per perdite di colore apparentemente dovute più a sbavature del pigmento che non a lesioni meccaniche) ci mostrano infatti una tangenza col contesto lombardo coevo, con parziali accostamenti al “Maestro delle Vitae Imperatorum”, avvertibile in alcune tipologie fisionomiche e nell’impaginazione delle scene; certo, il livello qualitativo non appare trascinante, ma sempre indice di una temperie figurativa che pur si poneva come modelli prototipi di alto valore. Una certa differenza esecutiva potrebbe forse indurre a un riferimento per le iniziali a due maestri distinti, ma talmente affini che è comunque meglio non indugiare troppo su varianti stilistiche minime e rifugiarsi nella dizione di bottega. È evidente che il ciclo eseguito da Guiniforte e dai suoi colleghi “de pennello” non poteva consistere in un unico pezzo, e si potrebbe anche pensare ad un arrivo successivo del volume in area reggiana, nella già citata destinazione francescana: soprattutto se si nota che il frate che compare assieme al Dio Padre benedicente di c. 34r sembra appunto appartenente a questo ordine; da notare poi nei fregi l’impiego di un repertorio tipicamente emiliano, del genere protoprospettico che venne con costanza impiegato negli anni ’40 e primi ’50 del XV secolo: girali vegetali compatti, cerchietti dorati, infiorescenze tonde sfrangiate in bianco rosso e verde, e soprattutto una sorta di pigna puntuta a cono, che con estrema chiarezza parla a favore di un’esecuzione nell’area a sud del Po, e non – come al limite si potrebbe pure pensare – all’invio in loco di manufatti prodotti in Lombardia; miniatori lombardi, allora, o piuttosto lombardeggianti?
Scendendo la via Emilia in direzione sud, secondo cioè il percorso che si può immaginare più logico per una bottega itinerante di origine lombarda, troviamo poi il cosiddetto ciclo dei corali 547-553 del Museo Civico Medievale di Bologna. Non so fino a che punto si possa pensare a un’origine comune di questa serie – quasi sempre considerata come un tutto unico dai pochi interventi a stampa che le sono stati dedicati – dalla provenienza sconosciuta: come già ho avuto modo di notare, la connotazione olivetana che viene in genere attribuita al gruppo è palese solo nel 552 (Lollini 1989, p. 35 n. 66), che si distacca dagli altri, oltre che dal punto di vista stilistico, sia come grafia del testo, sia come impostazione del programma decorativo e della mise-en-page delle carte; gli altri sono invece tra loro più omogenei, e presentano spesso iconografie a tutta evidenza francescane: tanto che, ad esempio, nell’iniziale con Santi della c. 115v del 550 il posto d’onore viene dato appunto a San Francesco, fulcro visivo dell’immagine. Possiamo abbandonare subito in tutta tranquillità la speranza di alcuni vecchi commentatori di avere di fronte una serie compatta, e magari un unico miniatore; il percorso stilistico dei sette volumi  (che si riassume qui solo per i pezzi connessi in modo diretto a Guiniforte, e quindi a questo Corali 17.A.153 della Panizzi) appare infatti del tutto disomogeneo. Il 547, quello che già si è rammentato per la firma del vimercatese, palesa nelle nove iniziali figurate – con qualche oscillazione che è possibile far rientrare nel metodo lavorativo di una bottega – la medesima mano del Corali 17.A.153 reggiano (Lollini 1989, fig. a p. 30): le tipologie dei volti sono identiche, e identico è il modo di condurre il panneggio, avvolgente ma col ductus ben spesso. Tra l’altro, le poche scene su cui si può esprimere un piccolo dubbio di autografia rispetto alla mano più spesso presente hanno gli stessi identici caratteri delle immagini eventualmente sottraibili all’artista principale nel corale della Panizzi, palesando quindi una situazione del tutto omogenea e spiegabile, appunto, con una compresenza di più artisti del tutto affini in una stessa bottega; il repertorio dei fregi è anch’esso quasi sovrapponibile. Nel 548 la situazione non muta: e le minime alterità che si notano all’interno delle cinque parti figurate possono ancora essere fatte comodamente rientrare in un’unica équipe, che qui tenta (riuscendoci poco) anche qualche soluzione più affine alla corrente distesamente cortese della miniatura tardogotica lombarda (nella Madonna col Bambino, a c. 169v, appaiono in questo senso assai indicative le definizioni a monocromo dorato su fondo nero dei fiori e delle piante sullo sfondo). Nel 549 questa linea formale è presente solo in poche iniziali, da riferire ancora alle stesse mani dei due volumi precedenti, e quindi anche a quella (o a quelle) di questo Corali 17.A.153; lo stesso avviene nell’unico caso di c. 78v per il 550. Si stagliano comunque nei primi tre tomi (non nel 550) gli splendidi capilettera di Guiniforte, che alla dominante rossa e blu aggiungono tratteggi e campiture in giallino e verde, e si dipanano sempre finissimi.
I restanti volumi della serie compartecipano di una temperie tardogotica influenzata dalla Lombardia, ma non mi pare vi si possano rintracciare sezioni figurate della mano (o della bottega) che sinora abbiamo incontrato; lascio comunque ad altra sede un loro esame.
In conclusione, completiamo l’itinerario con l’ultimo piccolo gruppo riferito allo pseudo-Guiniforte per le firme riportate dalle iniziali a inchiostro: i due volumi ferraresi. Olivetani, come il solo 552 del museo bolognese (dove non si ritrova peraltro né Guiniforte come calligrafo né il suo, o meglio i suoi, colleghi “de pennello” del reggiano Corali 17.A.153 e dei mss. 547-550 nella stessa sede), i pezzi segnati L e N appartengono anch’essi ad una situazione stilistica del tutto simile ai volumi citati della serie felsinea e al corale della Panizzi, e fanno parte di un intero ciclo, questo sì chiaramente connotato, al di là della provenienza, come commissionato da quest’ordine (Hermann 1994, p. 74 n. 37, nota di F. Toniolo che, per evidente lapsus, mi attribuisce un dubbio sulla caratterizzazione olivetana della serie che invece non ho mai espresso: la mia perplessità era semmai relativa alla giustezza del tradizionale riferimento a una committenza Roverella); vi troviamo anche Giovanni d’Antonio, il miglior miniatore bolognese del periodo (Medica 1987, pp. 187-188), a convalidare la possibilità che i compagni di Guiniforte possano anche essere non lombardi, ma emiliani lombardeggianti. Il frontespizio del primo codice non è con certezza riferibile direttamente a quello che potremmo chiamare “Maestro dei corali 547-550 di Bologna”, né nella sua scena principale, né nel bas-de-page, né nell’Annunciazione del margine superiore che, esemplata su modelli del ’Maestro delle Vitae’ e ricordi micheliniani, appare di una buona qualità formale che purtroppo non si ritrova certo nel resto della decorazione, a testimoniare l’importanza di quei prototipi grafici rifruibili che tanto potevano servire a un decoratore modesto per innalzare la sua caratura; per questo distinguo forse mi si potrà accusare di eccessiva capziosità: e in effetti tutto può forse tranquillamente rientrare entro i confini di una stessa autografia, qui più sorvegliata (o magari più aiutata da modelli), o al limite in un discorso di collaborazione tra membri di una stessa entità produttiva. Le altre scene dello stesso volume vanno ancor meglio insieme col volume di Reggio, e conseguentemente pure al gruppo dei corali bolognesi (si veda per esempio la Presentazione al tempio, c. 13v del volume N): l’identità di mano è allora qui certa. Nell’altro codice mi paiono essere attive più mani, o almeno l’oscillazione – anche qualitativa – è più forte, e non so se possa rientrare entro una medesima responsabilità diretta.
È possibile che l’esemplare della Panizzi possa provenire da una serie più numerosa, magari eseguita a Bologna o comunque non a Reggio (la stessa di almeno i primi tre volumi del Medievale?). Siano tre, allora, o due, i cicli in cui operò il calligrafo Guiniforte da Vimercate, assieme ai suoi colleghi di pennello: rimangono comunque esempio della circolazione di artisti e artigiani tra l’Emilia e la Lombardia in un periodo cruciale di trapasso stilistico; esempio non banale, e anzi interessante per ricostruire un contesto che, se trova le sue punte nelle trasferte di Belbello da Pavia all’inizio degli anni ’30 drl secolo XV e del “Maestro del Breviario Francescano” in modo credo continuativo dai primi anni ’50 sino almeno al 1458-1460, doveva essere costituito da una trama assai più complessa e fitta, non legata di necessità al grande nome chiamato a sé dal committente aulico, come nei due casi appena citati, quanto al tessuto di una costante presenza di interrelazioni, come dimostrano anche altri cicli in cui si trovano, da una parte, esempi di miniatori emiliani, magari già aggiornati in chiave rinascimentale o sulla strada di farlo, e di miniatori lombardi affiancati tra loro, o dall’altra, situazioni sfumate di meticciamento stilistico in uno stesso artista. E’ il caso della fin troppo nota serie bessarionea, o del ciclo di Carpi reso di recente noto dalla Zanichelli, che mi sembrano certo legati a livello repertoriale (con quello carpigiano come derivazione) nelle sezioni non figurate; mentre faccio più fatica a scorgere le vicinanze delle scene figurate del secondo con i due maestri bessarionei – quelli dei volumi 2 e 5 – che esamina la studiosa ora citata (Zanichelli 2000, p. 28).

Corali 17.A.154

Kyriale; Sequenziario; Graduale per messe speciali, 1458


A (Asperges) con Diacono con aspersorio – c. 1r

Il presente corale faceva parte di una serie di graduali, assieme ai volumi attualmente Corali 17.A.138, 17.A.139, 17.A.141 e17.A.143, di cui si è già parlato; la data 1458 deve essere limitata alle parti originali del volume, che in epoca di molto successiva (XVIII secolo?) venne integrato con alcune carte poste al principio e alla fine del volume. Spetta a Zanichelli (Zanichelli 2000, p. 38 n. 8) aver rintracciato una documentazione relativa ad altri due pezzi della serie, ora non più reperibili, che ci è tramandata da padre Flaminio da Parma (1760), e che collega con certezza il ciclo, e l’altro gemello di antifonari, alla sede francescana reggiana dei minori osservanti di Santo Spirito, come peraltro era già stato tentato (Lusetti 1983; poi Settima Mostra 1990, passim): una nota sul graduale feriale dalle Palme all’Avvento informava infatti “co[m]pletu[m] est hoc op[us] anno d[omi]ni M. cccc. lviiij. Die XXV Maij”, un’altra, su un volume di tipologia analoga ma festivo, riportava invece “iste liber est loci s[an]c[t]i spiritus prope regiom hoc volume[n] scripsit frater Joh[ann]es de prusia ord[inis] minor[um] an[n]o d[omi]ni M. cccc. lviij”.
Il miniatore attivo nel frontespizio del volume si mostra assai affine a quello che realizzò l’unica iniziale decorata del Corali 17.A.141, con il quale condivide milieu, scelte stilistiche e compositive; una sfasatura, lieve ma avvertibile, nella stesura dei colori fa preferire però mantenere le mani distinte, pur se questa scelta appare ad altri contestabile (Zanichelli 1994c, p. 25 n. 90; Zanichelli 2000, pp. 32-33, 41 n. 50). Di ottima qualità le iniziali decorate, ben trentasette, che spettano a un artista che non ritroviamo col medesimo incarico all’interno del ciclo: possibile invece – se pensiamo alla possibilità che a livelli non eccelsi le botteghe strutturassero l’impresa decorativa dividendosi i volumi e non le settorialità dei compiti specifici – si tratti dello stesso autore dell’unica figurata, alle prese con tipologie a lui più congeniali.

Corali 17.A.164

Graduale per messe speciali, [1560-1570 ca.]


C (Convertere) – c. 24r

Il corale è proveniente da un complesso ecclesiale non identificato e appare difficilmente raggruppabile, per motivazioni liturgiche, codicologiche e cronologiche con gli altri volumi di questa tipologia presenti presso la Biblioteca Panizzi (ciò che potrebbe corrispondere anche a una differente situazione di acquisizione rispetto a tutti gli altri corali).
Presenta un programma decorativo, lavoro di un modestissimo decoratore, che si mostra incerto sia nelle scelte tipologiche (difficili da inquadrare a causa della loro artigianalità), sia nella stesura; l’interesse artistico è dunque pressoché nullo, se non in relazione al fatto che il libro testimonia la persistenza di volontà decorative di questo tipo anche in ambiti cronologici assai avanzati (per motivi codicologici e scrittori questo graduale non può arretrare, credo, oltre la metà del XVI secolo o poco dopo), forse a imitazione cosciente di volumi analoghi più antichi.
Da notare, forse, i soli tre capilettera colorati su fondo giallo, dove viene usato l’orpimento (e non l’oro, come avevo scritto erroneamente in precedenza).

Corali 17.A.166

Salterio; Innario, [1500-1520 ca.]


B (Beatus) con David alla cetra – c. 2v

Il programma iconografico del volume rispecchia perfettamente la specificità illustrativa del salterio, uno dei testi più problematici e stimolanti della storia della decorazione libraria (Lollini 2003, pp. 16-18). Lo stile delle numerose iniziali, con una pennellata liquida e leggera, di grande effetto e – quasi – ‘impressionista’, va sicuramente inquadrato nel contesto formale della Bologna a cavallo tra XV e XVI secolo, dominata dalla bottega di Giovanni Battista Cavalletto e dei suoi numerosi allievi e collaboratori. E a un membro di questa entità produttiva va senz’altro riferita l’intera decorazione, che impiega anche nelle parti non figurate dei fregi e delle iniziali il medesimo repertorio di Giovanni Battista.
Questo codice fu realizzato sicuramente per la Cattedrale reggiana, e, come l’esemplare gemello ora a Oxford, Biblioteca Bodleiana (ms. Lat. Liturg. b. I), era impiegato come parte del breviario nella celebrazione liturgica delle Ore della sede diocesana (o anche, magari, nella preparazione della medesima: Mazza 2003, pp. 77-78), alla cui pratica musicale fanno riferimento anche le iniziali figurate delle cc. 123r e 141v; è allora probabile che abbia fatto parte di una stessa campagna decorativa assieme al corale 17.A.142e all’interpolazione presente nell’altro volume 17.A.144, pure riferibili alla bottega cavallettiana, pur se continuerei a preferire una distinzione di mano rispetto agli altri due, a differenza di quanto proposto da altri (Guernelli 2011, p. 57 nota 3).
Il salterio passò all’asta di Christie’s di Londra del 20 novembre 2002, e, grazie all’intervento della Fondazione Giulia Maramotti, rientrò nella città per cui era stato eseguito, e fu inserito nei fondi antichi della Biblioteca Panizzi.

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